16 dicembre 2017

FUMETTI DIMENTICATI_Angus_1_Special Story

Questa non è neppure una storia, ma solo una presentazione del mio allora nascente Angus:
(Se non sapete cosa sia vi invito a leggere qui, nell'ordine https://ilcerbiastrello.blogspot.it/2015/08/come-e-nato-angus-1mini-serie-grezze.html https://ilcerbiastrello.blogspot.it/2015/08/come-e-nato-angus-2i-primi-schizzi-di.html https://ilcerbiastrello.blogspot.it/2015/08/come-e-nato-angus-3i-personaggi.html) eppure mi sento in dovere di postarla poichè appunto è una delle mie poche storie a fumetti completa (seppur breve) e vengon mostrati dei miei vecchissimi personaggi alle loro origini, proprio acerbi acerbi, grezzi, insomma.
Questa mini storia la disegnai nel 2011, quando ero alle superiori, e la postai pubblicamente solo sul mio primo Deviantart. Il titolo era un po' banale, ma doveva andare così.

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Ancora molti di loro, anche principali, non avevano un nome ma un numero, anche se il loro character design stava formandosi.
Qui vediamo Xavier (in alto), Slimmy (a destra), i due gemelli Tempesta (centro in alto e centro verso sinistra), un tipo (di cui adesso non rimembro il nome) e Spike (questo in basso)...












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... E qui invece il "nerdino" (non serve dire chi sia nel foglio), Ryan (a destra in alto), Darkly (verso sinistra nel centro, tre tizi senza nome e un Dani incazzoso che fa capolino in basso.



















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Il primo che chiede all'incazzoso cosa non vada è il collega Jim, mentre Dani spiega il motivo della sua arrabbiatura, e Spike interviene direttamente senza molto tatto facendo presente un'ovvia verità.


















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Spike si spaventa e si trasforma come suo solito, andando in braccio a Jim, mentre Dani continua la sua personale protesta riguardo questa presentazione, a suo modo. Tutti gli altri apparsi prima, contestano.
Anche Spike dà la sua opinione, molto espressiva.


















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Dani così annuncia una soluzione, e Jim domanda.
Col risultato che alcuni di loro, dalla folta chioma (sopratutto corvina) non ne sono a favore.
Spike si smaterializza.



















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Dani, offeso, se ne va, inseguito da Jim.
I restanti (poi personaggi principali veri e propri in futuro) ridono alla battuta di Spike, mezzo ancora trasformato in animale, all'aver fatto presente che anche lui fa parte del club dei folti di cabelo.











21 novembre 2017

Il suo nome è Tsotsi_Come ho visto questo bellissimo film. PRIMA PARTE (In ritardissimo)

Siamo già a settembre, ed è quasi tempo di grandi cambiamenti: sto per trasferirmi altrove col mio compagno e famiglia, e chi ha avuto esperienze simili sa com'è lunga la cosa e cosa comporta. Non avrò internet per un bel po' e quindi immagino già le ancor più lunghe passeggiate mentali che farò tra me e me, i disegni (che spero) fatti e finiti, o creati di nuovi, la scrittura che finalmente si sfoga sulla carta fresca di qualche quaderno grazioso a mio gusto... E qualche film, come solito.


Chi mi conosce sa benissimo quanto io AMI i lungometraggi. Sin dalla mia più tenera infanzia guardavo film cult o di serie b, emozonandomi e facendo maratone infinite, anche cercandomeli per un tema specifico; ed ogni volta che rivedevo più volte anche uno solo già visto, provavo sensazioni differenti. Non ho mai fatto mistero di ciò che guardavo, anche se la maggior parte dei film che mi piacevano facevano storcere lo sguardo (od il naso) o annoiare chi era intorno a me, perciò spesso quando potevo, me li guardavo da sola. Immaginate quindi quanta libertà nel visionarli alcuni. Il mio genere preferito, anche se a volte faccio eccezioni, alla fine, (per cui posso dire, dopo migliaia di film visti nella mia esistenza) è il tema drammatico (che sia animazione o no), dopo l'horror ed il fantastico/avventura, ma sopratutto sul sociale, in cui i personaggi sono a nudo, intelligenti ma anche umani, con storie tragiche dietro e parecchie emozioni intense. Sarà che io sono emotiva, ma se un film non mi prende molto sul piano emotivo, sul viaggio mentale dei personaggi presentati, non mi rimane impresso. Con questo non dico che non mi piacciano anche i film "leggeri", ma se qualcuno mi rivolgesse una domanda come:" Qual'è il tuo genere di film che guardi più volentieri, tra uno comico ed uno drammatico?", io sceglierei subito il secondo, perché alla fine di un film, da cinefila incalliata che sono, mi viene sempre voglia di approfondire, cercare recensioni, informazioni nascoste, curiosità sui personaggi o anche sul film stesso, storie simili ad altri film sul generis. Sono come un'archeologa: non mi stanco mai di revisionare finchè non sento di saperne abbastanza per farci un quadro vasto. Che poi, mi ascolto pure le soundtracks dei film, figuriamoci se non volgevo lo stesso interesse anche sui film di tale opere musicali: perché no?
Certo, le trashate filmiche me le guardo con piacere, ci rido, amo anche gli splatter morbosi, ma devo sentire anche un po' di sentimento, altrimenti per me è come un'ora o due buttate via. Per me vedere un film equivale a liberare la mia empatia altrove, in un mondo parallelo inesistente nella mia realtà, un viaggio come un sogno, in cui non so cosa capiterà, ma nello stesso tempo penso, e mi sento viva, come se fossi lì, provando anche forse le stesse emozioni e pensieri del protagonista.

Per quanto io amassi scrivere, non ho mai "raccontato" un film visto sul web, ma ricordo che fuori, con gli amici "di passaggio" ne parlavo come un'appassionata, a tal punto che mia zia lo notava spesso, consigliandomi (a volte seccamente) di smettere di parlarne:" Magari avessi questo interesse tu con la matematica, guarda come ti brillano gli occhi!"; i miei amici invece dicevano che "ero fissata" e a volte spaventava loro per come descrivevo con estrema cura i dettagli di ogni film horror, per cui avevo una passione gioiosa nel periodo della mia adolescenza ed infanzia. Era quasi una litania insopportabile sentirmi dire ogni volta:" Lo sai che il film di Psycho/Psyco si basa su un killer -complice anche la mia passione per la cronaca nera- che ha dato ispirazione anche per Buffalo Bill, Leatherface e tanti altri?" e non finivo più di parlarne. Eppure mi piaceva un sacco, amavo condividere con qualcuno questo mio interesse, ma la cosa non è mai sfociata del tutto, perché i miei amici del tempo non avevano una passione così grande come la mia per i film così. Nonostante questo però, torno al punto iniziale: non ho mai voluto scrivere sui film. Se l'ho fatto, non è mai stato così approfondito come vorrei fare ora, per la prima volta: un compito in esame di un film non è raccontarlo in prima persona, e nemmeno esprimere un giudizio breve su un remake orribile come feci tanti anni su Deviantart ( https://mrsmadisonlossen14.deviantart.com/journal/Caro-Venerdi-13-419725466 ) vale, quindi questa volta è davvero una cosa unica, mai fatta prima.

A regola dovrei farlo su tutti i film che amo, quindi farla adesso non renderebbe giustizia a tutti quelli che ho amato in questi miei quasi 24 anni di vita. Il motivo, è, che appunto, alcuni di questi film non sono molto "visti" quindi, facendo la descrizione "spoilerosa": 1) "Ma così mi rovini la visione del film!" e 2)" Tanto non interessa a nessuno, che lo scrivi a fare". Ebbene penso che si sia capito cosa voglio spiegare in questo terzo punto. Io racconto un film come se si leggesse un libro, non descrivo tutto da punto oggettivo, ma dal mio punto di vista, perché come detto, mi piace parlare di tutto ciò che riguarda il film, e poi diciamocelo: leggere un libro e poi guardarsi il film non è la stessa cosa? Sai già il finale, eppure leggi ugualmente, perché son esperienze differenti. Ergo io faccio la stessa cosa. Quindi se siete il genere di persona che non apprezzano "gli spoiler" potete benissimo non leggere, nessuno vi costringe. Il blog è mio e scrivo cosa voglio, se me ne piace parlare.

Recentemente mi sto guardando un sacco di film (prima ne potevo vedere pochi e non sempre, perché mia cugina era spesso alla tv e quindi dovevo aspettare che la casa fosse vuota per potermi vedere uno dei miei dvd o qualche film trovato per caso, anche di notte fonda, il mio momento preferito), spesso su temi forti e sociali, come povertà, sacrificio, razzismo, bullismo, rabbia ed altri disagi sociali. Un po' perché ho vissuto anche io cose così (non ero certo una ragazzina con cellulare e vestiti alla moda), un po' perché mi piace la storia dell'umanità ed i suoi errori (tipo la stregoneria del medioevo e dopo, lo schiavismo, l'infibulazione, la merce umana, i clochard, i veterani lasciati come se non fossero stati niente, le favelas, l'alcolismo ecc). Non so perché ancora mi interesso a queste cose, ma mi interessano ancora (mi si perdoni l'abuso di interesse). E' naturale in fondo che mi attraggano sempre.

Ebbene, nelle scorse settimane ho trovato un film che aveva un titolo che forse avevo già letto in passato senza farci molto caso: "Il suo nome è Tsotsi".
                                                   









(copertina della versione italiana)

(copertina della versione universale)
   
(altre versioni)

Il film, un lungometraggio vincitore di alcuni premi, è stato girato e prodotto in Sudafrica, ed è del 2005, quindi neanche tanto recente (al tempo io avevo 12: cavolo, direi...). E' un film ovviamente drammatico, basato sul libro omonimo di Athol Fugard. La trama è semplice, ma son le cose che si lasciano trasparire dal personaggio che mi hanno colpito maggiormente, oltre che la fotografia, molto suggestiva (si passa dal grigiore della sporcizia urbano, al dorato della povertà sudafricana).
Anche questo parla delle gangs, ma a differenza dei suoi "compagni" afroamericani cinematografici, qui i personaggi sembrano davvero "vivere alla giornata": non organizzano nulla, poco si sa di che marachelle han vissuto, spesso non fanno niente. Sembrano davvero dei ragazzini che vivono di completa solitudine. (Boyz 'N the Hood aveva il protagonista "bad boy" non amato molto dalla madre; Giungla di cemento aveva uno dei protagonisti un bulletto che si sentiva figo e basta, tanto per dirne alcuni) Eppure, non sapendo cosa abbiano fatto, si viene a capire il disagio profondo che hanno dentro, delle ferite che non emargineranno mai.
I protagonisti principali sono Tsotsi (nome d'arte dal gergo Tsotsitaal, -mixaggio di lingue parlate in Soweto- che significa appunto, "Piccolo Gangster" poichè il capo del trio pare essere lui, oltre che protagonista del film), un giovane dicianovenne natìo del posto; Butcher ("Macellaio", non penso ci si faccia dubbi sul significato), un tipo alto, che nel gruppo è quello che, nei casi di estremo rischio, uccide le vittime (con un particolara arnese lungo ed affilato di cui io non so riconoscerne l'uso, mi spiace), Aap (il cui nome pare significhi "Scimmia"), un bonaccione un po' in carne sempre allegro, che difende a spada tratta il protagonista; ed infine Boston (amerà la città americana si vede...), un ragazzo fortemente sensibile e avezzo all'ubriacatura facile. Tutti sembrano avere la stessa età del protagonista.
In poche parole: Tsotsi è il capo, Butcher il killer, Aap il feliciotto, Boston la parte matura e calma.
Un punto a parte su Tsotsi e del perchè abbia cambiato il suo vero nome, è importante e verrà fatto capire durante il film. Per quanto io mi sia ritrovata in lui, per quanto riguarda la ferita simile, lui ha fatto l'inverso estremo di cosa abbia voluto fare io, ma forse chissà, se nel film fossimo arrivati alla mia stessa età, probabilmente avrebbe cambiato sistema di identità e ricordato il passato, chissà...
Parlo della cancellazione del proprio passato: Tsotsi è sofferente, ha sofferto, ma vuole cancellare ogni traccia del suo passato. Ci stava riuscendo finchè un giorno, arriverà a scontrarsi coi suoi demoni. Io avrei scritto così la trama, ma forse era troppo evidente? Non so.
Tsotsi è nato da due genitori che non se la passavano bene, una madre malata di Aids (citato più volte nei backgrounds urbani ad inizio film) ed un padre alcolizzato e violento. Fortunatamente io non ho avuto genitori così (per quanto nemmeno io ho li abbia avuto presenti come coppia genitoriale), ma ho sentito molte cose in comune con lui. Entrambi abbiamo demoni, entrambi abbiamo fatto amicizie di cui c'eravamo rotti le scatole, e fatto e cose non proprio legali, entrambi siamo scappati da chi ci cresceva, entrambi, per quanto cerchiamo di fuggire del passato, ne veniamo contro, ed entrambi... Ma non posso dire altro, poichè è sopratutto il finale che mi ha fatto sentire a nudo me stessa.

Il film inizia con canzoni ritmiche in lingua zulu, con i personaggi principali subito mostrati nel calore sudafricano, intenti a giocare coi dadi: il "Macellaio" sbaglia il conteggio e viene preso in giro dagli altri, perché corretto dal maestrino Boston, mentre Tsotsi osserva dalla finestra il paesaggio, prima di venire distratto dalla domanda definitiva: "Hey Tsotsi... Che facciamo stasera?"
Parte la musica trascinante e vengon presentati personaggi secondari che conoscono per fama il protagonista, deridendolo perchè non sappia guidare un'auto, mentre quest'ultimo e compagni mandano un bel "fuck".
Ebbene, questi qui sembrano essere più economicamente stabili rispetto a Tsotsi, e se la ridono di gran gusto. A parte quello in mezzo, io se fossi in loro lascerei le risate per me stesso, perché specialmente quello a destra, pare che abbia un pentolone a forma di ditale sul capo, hah...



Okay, sembra davvero che abbia un ditale sulla capoccia.
Che si metta pure simulatori di ditali sul cranio, ma non si metta poi a citicare qualcuno per sciocchezze come non saper guidare un'auto, però.
(Ovviamente sto scherzando, non mi interessa davvero come vesta una persona, ma occhio per occhio...)

Un grosso cartellone fa capire che venga preso molto in considerazione il problema HIV: segnale che verrà visto in altre scene, e focalizzato anche nel passato, in modo tristemente evidente, di Tsotsi.






(foto dal web)
I quattro giovani così adocchiano un signore visto per caso, osservandolo mentre compra qualcosa da una signorina. Nell'ordine della figura abbiamo: Boston, l'ubriacone e quasi insegnante maturato; Butcher, che non vede l'ora di sgozzare qualcuno, ed Aap, che, ovviamente, sta sempre dietro al leader, Tsotsi. Non sono vestiti molto sgargianti, ma neppure si muovono tranquillamente: con cautela e silenzio seguono l'agognata preda casuale fino ad entrare nel treno assieme a questa.
Tutto accade in pochi minuti di tensione e rumori metallici di treni. Il povero signore si domanda come mai questi ragazzi lo accerchino senza un motivo, mentre Tsotsi intima lui di stare in silenzio (con il dito sulle labbra a sibilo) e Butcher fa mostra del suo arnese da assassino seriale. L'uomo però parla per un secondo dopo essere stato subito derubato, venendo colpito all'istante nella pancia da Butcher. Nessuno si accorge di niente, e nella calca i quattro lasciano cadere l'uomo, ormai morto, lì dov'è. Siamo così in un bar/disco frequentato dai protagonisti spesso, ma perché Boston ha vomitato per la nausea, e si capisce che prima d'ora non avevano mai ucciso nessuno (quindi erano solo ladruncoli da quattro soldi, come modo di dire). Aap da "cagnolino" dice a Boston di stare zitto e lasciar perdere. Arriva la signora, presumo gestore del posto, che ovviamente dice loro di non voler problemi (quindi conosce le loro vite). Si nota il nervosismo di Tsotsi: non parla, ma continua a muoversi avanti ed indietro sulla sedia, ascoltando con interesse Boston, che beve.
A questo punto momento clou ancora: Boston mostra a Tsotsi metaforicamente, il senso di colpa e di dolore provato nell'uccidere l'uomo, ferendosi con la bottiglia rotta sul tavolo, sul proprio braccio. " Sai come mi sono sentito io dentro, Tsotsi? Così.". Poi provoca sempre più vicino a sè Tsotsi, chiedendogli se ha mai avuto rimorsi o pentimenti, se hai mai avuto amore o carità, e quindi dei genitori.
Tsotsi allora si arrabbia molto, e picchia furiosamente il collega. Si capisce che nessuno, a parte Boston, sappia le origini del protagonista.
Tsotsi così fugge dalla confusione, e la signora va in corso da Boston, ordinando agli altri due del gruppo di non far invitare mai più il leader nel suo locale. Il fatto che sia intervenuta lei non è a caso.
Piove fortemente, e Tsotsi raggiunge un viale alberato di casette moderne di compaesani benestanti che non conosce. Vede un'auto passare da una di queste, da cui esce una signora che citofona. Il nostro non si fa domande e va verso l'auto, per rubarla, ma la signora se ne accorge in tempo e apre la portiera: Tsotsi così le sparerà in pancia direttamente, fuggirà via, e il marito, giunto dopo (non fa in tempo quindi a vedere in faccia Tsotsi), tirerà su la moglie terrorizzato: essa griderà:" Il mio bambino!".
(Tra la scena di Totsi che si incazza con Boston al locale, e quella dove spara alla donna urlante, appare questo momento veloce. E' importante perché è una delle cose che farà capire il passato di Totsi, nonchè altro luogo che riapparirà per ben tre volte nel corso del film. Una sorta di "isola che non c'è")
                                                        (foto e collage di mia creazione)
Durante la fuga, Totsi è preda dell'ansia e della rabbia, ma i guai non sono finiti, perché da dietro i sedili sentirà un vagito. Un vagito di cucciolo di umano, di un bebè. Di un neonato compaesano.
La fotografia qui per me è impeccabile, sporca, arida nei momenti caldi, umida nelle scene fredde.
Il ragazzo così ferma l'auto prima di cadere tutti e due dalla strada per l'inaspettata sorpresa, scende e riflette un attimo. Vorrebbe lasciar perdere il neonato ma questo piange, e così Tsotsi, mosso da qualche istinto nascosto sino ad ora, prende alcune cose dall'auto, e il bebè, portandolo dentro una borsa dell'auto trovata vicino, per fare a piedi un lungo tragitto arido vicino a dove abita.
E' già mattina e la fotografia è di nuovo coi colori arancioni e dorati. Il ragazzo così comincia a prendersi cura, seppur nel modo più disastroso possibile, del neonato rapito senza volerlo. Pulisce il culetto alla svelta e cambia il pannolino, mettendo al povero piccolo pezzi di giornale e scotch. Ovviamente il bebè non gradisce e frigna istericamente. Sta per parlare col bebè, ma arrivano due del suo gruppo a bussarli alla porta, chiedendo come stia. C'è così un momento divertente, in cui Tsotsi inventa sul momento di avere la diarrea pesante (per nascondere che abbia il bebè, che ha appena cacato allegramente). I due ci credono e continuano a parlare mettendo la loro attenzione su una ragazza lì vicino, con un bebè alla schiena, che passa in mezzo ai compaesani, sentendo le loro battute un po' sessiste da un tizio a caso ed Aap, e guardando male questi due, va via dopo essersi rimossa il lenzuolo colorato che sosteneva il suo bambino dietro la propria schiena. (a mo' di difesa personale del proprio pargolo dalle brutte vociacce...)
Tsotsi si congeda subito senza spiegazioni e i due vanno via, ritornando alla puzza che hanno sentito dalla sua casa, e su quanto possa essere pesante e "autentica" la diarrea fulminea dell'amico.
Scena dell'ospedale, in cui riposa la moglie colpita, accarezzata dal marito che si indigna perchè la polizia (lì presente) non riesca a trovare il colpevole. Essi rispondono che la cosa potrebbe essere ardua per via dell'alto numero di abitanti della città in cui pensano risieda il pistolero.
Di nuovo riappare la scalinata della stazione, colori verde neon; Tsotsi inciampa nel senzatetto, che è una presenza fissa lì, facendolo svegliare e incazzare come una betoniera in azione. Tsotsi si limita a guardarlo, e il clochard regala a lui un suo sputo sulla scarpa. Tsotsi lo guarda ancora, ansimante.
Nonostante questo regalino di poca stima verso di lui, Tsotsi lo segue senza che lui sappia (è sopra una carrozzella decorata come se fosse una pseudo-mercedes da gara per macchinine creative da gare di Redbull, ed è disteso, quindi non può voltarsi senza girarsi con tutto il mezzo) e dà buca agli altri che lo aspettano sempre al solito punto in stazione.
Tsotsi lo segue fino a dove capisce dove abiti (il dietro della stazione, in mezzo alle colonne portanti dei binari), poi tira una monetina, chiamandolo a sè. Il barbone si volta e chiede giustamente se il ragazzo voglia i suoi soldi, ma Tsotsi chiede piuttosto che si alzi in piedi: il clochard si stupisce e lo manda allegramente a quel paese, perché Tsotsi non crede che lui abbia l'handicap evidente.


Tsotsi però non vuole perdere la gara tra lui e il senzatetto, e si posta in avanti. Il clochard posa a terra la sua scatolina dei soldi per levarselo di torno, Tsotsi fissa la scatola e il barbone ancora si domanda cosa voglia da lui il ragazzo silenzioso, che successivamente tocca con il piede le scarpe eleganti del pover'uomo, mentre questo si allontana da lui, sempre muovendo le mani sul suo mezzo per muoversi. Il disabile vero così tira le monete buttate a terra da Tsotsi e inveisce contro, ma sembra più un fanculizzare volto allo sfinire, al dire "Ci mancavi anche te, che rottura di corbezzoli..."
Poi mostra Tsotsi a lui la pistola che ha sotto la giacca.





E qui parte una scena che ha letteralmente scosso il mio cuoricino: già mi fanno pena i vecchietti, figuriamoci se disabili e con questa disgrazia di vita... Insomma, il vecchio si dispera, ma una sorta di disperazione passiva. Dovrebbe far ridere, ma invece fa tanta pena, perché l'uomo ammette senza tanti giri di parole che si è pisciato sotto dalla paura. Lo dice con una voce strozzata dal pianto, una voce disperata, come se avesse avuto così tanta già merda nella sua vita che poco importa la sua dignità, ma nello stesso tempo è disperato perché non capisce perché voglia il ragazzo minacciarlo con la pistola, visto che non può nemmeno difendersi. Il ragazzo, all'enesima domanda del perché stia seguendo il clochard, si avvicina con calma, sempre fissando in faccia l'anziano, e inginocchiandosi racconta, senza dire che si tratta di una cosa accadutagli in famiglia, di un cane picchiato da un uomo fino a farlo stare paralizzato come lui. L'anziano domanda quale uomo possa mai fare una cosa del genere, perché abominio, ma Tsotsi scuote la testa e domanda all'altro come sia accaduto l'incidente al clochard, che spiega di aver perso l'uso delle gambe dopo un incidente in fabbrica mentre lavorava.
Tsotsi non capisce come mai allora l'uomo, in quelle condizioni, non abbia deciso di farla finita, ma l'anziano fa capire che nonostante le difficoltà e la sofferenza di ogni giorno, lui voglia ancora sentire "il tepore" (la cosidetta voglia di sognare, di sperare, di tentare di vedere il bello anche nelle cose brutte: questo è uno degli elementi chiave del film che aiuterà Tsotsi a cambiare).
Tsotsi così se ne va via, dicendo solo al clochard, di raccogliersi le monete.
E' quasi l'alba e Tsotsi torna a casa sua.
Appena chiude la porta sente i vagiti e si ricorda con fretta del bambino lasciato dall'altra sera, in condizioni pietose e con mille formiche sul bavero a causa di qualche yogurt o latte, non so. Apre la finestra e vede ancora la ragazza del giorno prima, mentre prende dell'acqua con altre persone in fila dietro di lei. Tsotsi così scende e decide di seguirla fino alla sua casa. E' una sua vicina.
Entra dentro e lei si spaventa, fa cadere la tinozza d'acqua e prende un coltello, ma Tsotsi ordina a lei di metterlo giù, di posare il suo bambino sul letto e di guardare dentro la sacca che ha posato sul tavolo vicino a lei. Lei così vede il bebè disgraziato e Tsotsi ordina ancora di allattarlo.
Lei fa anche questo e Tsotsi la osserva mentre aspetta che lei faccia il "suo dovere" verso il bebè non suo. Lei lo fissa, e lui ne approfitta per osservare la casa della ragazza, con evidenti e luccicosi affari per bambini, di quelli che si mettono alle culle per distrarli, come tendine, fatte da lei di pezzi di vetro e ferraglia. Tsotsi incuriosito domanda alla sconosciuta di quelle creazioni, ricevendo risposte.
Si capisce che lei è una tipa creativa, che dà valore anche alle piccole cose (un po' ricorda il clochard, seppur molto differente, no?), poichè ammette di far pagare una 50ina la versione colorata dei cocci, perché per lei sono "Luci colorate che riflettono addosso" (altro riferimento al "calore"/"luce" del clochard prima).
Si torna ancora nell'ospedale della povera donna a cui Tsotsi ha sparato, ma stavolta è abbastanza ripresa e pure incazzata al di sopra del midollo osseo: non nasconde che se scopre di male fisico al figlio, avrebbe il forte desiderio di uccidere il rapitore da lei solamente.
La ragazza sveglia Tsotsi che si alza di soprassalto dalla poltrona, per dirgli che il bebè è sazio, e anche per chiederli di ripulire il bambino prima di andarsene via. Tsotsi accetta (non è che ci abbia dato grande dimostrazione di saperci fare con la pulizia degli infanti) e lei fa le moine tenere come se fosse suo figlio: il nostro protagonista così rimane a guardare, e fa un lungo viaggio mentale nei ricordi rimossi per traumi, dove si mostra la sua madre naturale, malata di aids, chiedere di avvicinarsi a lei, quando lui aveva nemmeno otto anni di età. Spunta suo padre, alcolizzato fino al midollo, sgridando Tsotsi perché si è avvicinato a lei. Lui si spaventa e scappa, la madre piange ma assicura il figlio che le cose andranno bene. Il cane abbaia e Tsotsi bambino si nasconde dietro delle gabbie. Il padre picchia così il cane forte, e si scopre che era il suo cane, quello a cui un uomo ruppe la schiena, come raccontato da Tsotsi stesso al clochard ore prima.

(Sono le 13:07 del 21 novembre, e poiché ho dovuto fare tantissime cose, oltre che per la mancanza di una connessione decente, ho rimandato e deciso di tagliare questo mio articolino personale fino a qui... Lo continuerò comunque, e spero che già adesso sia di vostro gradimento)

27 agosto 2017

FUMETTI DIMENTICATI_3_New Generation Nightmare

Siamo quasi alla fine del periodo estivo, e mi sto sempre incasinando con vari progetti e vari obiettivi, aggiungendo anche gli impegni per un trasloco col mio attuale compagno verso una nuova casa, immersa nel verde più rigoglioso (comunque sia lontanto da fabbriche e dal centro) e più grande. I miei sogni invece sono sempre più pieni di angoscia e tendo ancora a perdermi in mille pensieri, come se non avessi detto abbastanza. Settimane fa tornai nella mia vecchia casa, per riprendere altre mie cose lasciate lì da tempo, nella cantina: le cose che son rimaste quasi integre sino ad oggi, perché spesso durante la pioggia molti scatoloni si bagnavano e cosa c'era dentro marciva col tempo. Ho molto dolore al ricordo, ma anche al ricordo di quel giorno che mia zia mi constrinse a buttare via tantissime mie riviste (ed anche miei disegni, ahimè) nel cassonetto. Quel giorno piansi tantissimo, perché per me cosa creavo nei fogli era come un pezzo della mia anima, una pelle strappata via, e più cose buttava, più io tentavo di riprendermele, anche se bagnate, pisciate o ammuffite che fossero. Quella sera la odiai tantissimo e cercai di non comunicare nemmeno con gli sguardi con lei, a meno che non fosse rabbia velata, contro lo scempio che aveva fatto prima.
Ma questo è solo un doloroso ricordo, e forse, a causa di questo che spero sempre di trovare qualcosa di mio dimenticato da tempo, in quella vecchissima cantina umida.
Il fumetto che ho trovato infatti, è bagnato su tante parti, non vecchissimo (lo disegnai al tempo delle scuole superiori, comunque sia sembra passata un'era), ma è una delle poche cose che mi lasciò "salvare" da quella cantina, poichè non pisciato dal nostro cane Nathan (cane lupo/husky, autore di mille distruzioni di cose a cui tenevo, tra cui una statuina a forma di scoiattolo fatta di solo legno, ed un pupazzo piccolo a forma di squalo: quando scoprii le sue malefatte volevo strozzarlo) e non con sopra qualche tipo di muffa simile a vomito secco come humus.
Quando ero alle superiori, tra le tante amicizie di passaggio, avevo una ragazza di qualche anno più grande di me (in classe non avevo nessun amico speciale, stavo sempre in disparte perché i miei "coetanei" -in realtà più piccoli di me di età- si divertivano a prendermi in giro per ogni cosa, quindi preferivo farmi amici fuori da lì; inoltre avevo tutto un mio modo di stringere amicizia, diverso dall'avere amici in un luogo di "tutti i giorni", che spiegherò più avanti), che conobbi in seguito ad una giornata abbastanza tranquilla, tramite un'altra sua amica dopo un fatto. In classe mancava la prof e quindi tutti miei "compagni" avevano un po' di tempo libero a disposizione. Io, che come al solito non avevo il materiale (non è che si stesse così tanto bene economicamente in casa mia, e io non volevo peggiorare la mia situazione con mia zia richiedendo soldi per cose che tanto avrei fatto di malavoglia: ero spesso sotto stress e anche a causa della mia bassa autostima e voglia di stare per i fatti miei -nonchè anche a causa di vari disguidi coi prof, che mi detestavano-, non dicevo niente e lasciavo scorrere le mie giornate prendendomi anche un bel po' di note sul diario), uscii dalla porta del laboratorio di scultura (avevo un compagno stupido poi che me le rovinava sempre) e mi sedetti sugli scalini, intenta come al solito a pensare chissà cosa, nelle mie solite riflessioni sulla vita, sulle guerre, sulla religione, sui sogni, sui miei ricordi, sulla rabbia che avevo dentro. Mi accorsi dopo un po' di una ragazza che stava disegnando su un taccuino, mai vista prima. Mi avvicinai e le chiesi cosa stesse disegnando e perché era lì. La ragazza era Francesca, ora conosciuta sul web come Kriskekka, che disegnava già allora benissimo e molti stile manga, particolarissimo e dettagliato. Non ricordo molto della conversazione che ebbi con lei la prima volta, ma già ci mettemmo d'accordo per rivederci un'altra volta; poi la salutai e rientrai nella stanza. Incontrai così una futura "amica", ad una biblioteca di soli fumetti, giorni dopo. Queste si conoscevano perché amanti del fumetto, del cinema e cartoni animati. Questa ragazza era Marina, stessa età di Francesca, molto più loquace e aperta dell'ultima. Le chiesi se sapeva disegnare (non molto ma le piaceva farlo), e mi disegnò, su richiesta, tre miei personaggi preferiti di film horror del secolo scorso: Freddy Krueger, Jason Voorhees e Michael Myers (avevo una leggera ossessione per le cose splatter, eheh). Stringemmo amicizia perché lei si incuriosì dei personaggi che amavo, e le nostre serate erano spesso passate a parlare di film horror, gore, thriller... Inoltre ci piaceva il mistero, Halloween, la notte: quindi avevamo molte cose in comune, ma penso che alla fine lei sia rimasta con me perché la facevo ridere parecchio.
Questo fumetto nacque a "due mani", con lei. Era la prima volta che facevo qualcosa del genere, perché di solito non mi piaceva fare cose di gruppo, ma tanto per fare qualcosa di nuovo, mi convinsi e disegnai la sua storia, scritta (lei amava più scrivere).
Ovviamente, le scene, i dettagli, lo stile (anche se in realtà io non ero molto abituata a quel pseudo-manga, ma al tempo mi regalarono un grosso libro tutorial su quello stile, e vedendo che ai giovani piaceva di più quello stile di disegno, provai a fare esercizi per impararlo) e lo stesso character-design di me, lei, ed altri personaggi, lo decisi io, perché facevo questa cosa più per divertirmi a creare aspetti che non esistevano nella realtà (solo il mio personaggio era realissimo: quei vestiti li indossavo davvero nella mia vita vera a scuola): il look di lei infatti lo inventai io, e a lei piacque subito senza ripensamenti. Il fumetto, colorato solo per poche pagine (e solo quelle mostrerò), lo disegnai e colorai sempre in orario di lezione (sennò avrei dormito: tanto stavo in fondo alla classe).
Il mio personaggio però caratterialmente (a parte la descrizione decisa da me in didascalia nelle prime pagine) era tutta roba sua, poichè lei scrisse la storia su dei fogli, con tanto di dialoghi e nomi.
Premessa: le prime tre pagine, furono pubblicate da me nel mio primissimo account di Deviantart allora, e anche sul gruppo che creammo io e lei, basato appunto su questa sua serie, di cui io mettevo anche una versione con testi in inglese (modificati con un paint orribile): le pagine che ho ora infatti sono bagnate e più sporche di quando le scansionai sul sito. Le restanti, a colori, invece, sono attuali, non essendo mai state pubblicate online (e più scurite adesso perché quasi illegibili).
Questo era l'aspetto di noi tre, chibizzato: a sinistra Francesca, in mezzo io, ed a destra Marina: anche il character design di Kriskekka lo decisi io, come i colori suoi.

Pubblicata sul mio account il 22 novembre del 2010, era basata sul primo capitolo, da lei definito:" La Chiamata". Il logo lo decisi sempre io, omaggiando la famosa saga di Wes Craven (rip grande regista). Il look di Mari è completamente inventato, infatti quella gonna che le feci, era un altro omaggio a Freddy Krueger (ricordate i colori del suo famoso maglione sgualcito?).
Per chi non fosse fanatico del genere, Haddonfield è la famosa città della saga di Carpenter, Halloween (esistente davvero in USA). La scuola è inventata, ovviamente americana. Il cognome di Mari fu deciso da lei, così come forse anche il mio (Dida era una scoiattolina che creai nel 2008, dal mio fandom degli HTF -sempre roba gore/splatter-). Le nostre età erano reali, anche.
Lei mi dipingeva come una persona energetica (boh), ma in effetti lei, essendo una tipa parecchio in carne, ed io magra, aveva ragione ad immaginarci così. Sì, scuola americana: ci sono gli armadietti.
Nessuno ha mai visto il seguito di questa serie, a detta mia, un poco imbarazzante. Descrizione sempre sua, look anche furrosi, creati da me (però gli animali scelti da lei). Non credo comunque che fosse wiccan anche nella realtà: non le ho mai visto fare omaggi e niente che lo facesse pensare in casa sua. Era solo appassionata di magie, evidente la sua fissa per Yugi-Oh. Come non credo che nemmeno avesse avuto una bisnonna strega: era tutto inventato, parte del personaggio.

La didascalia "bagnata" dice:" E mi piace fare battute": questo era vero, facevo battute ogni secondo, anche quando io e lei si andava in giro. Quel "ti amo, baby" lo aggiunse lei (lei era più fissata coi manga/anime rispetto a me), io non avrei mai pensato una cosa del genere (però quella faccia la avrei avuta, avevo una cotta davvero per quel killer cinematorafico) Il pipistrello era il mio animaletto domestico secondo il fumetto (forse era il mio vecchio personaggio City, che creai da bambina), ed i dvd in rosso erano tutti raccoglitori di saghe horror che desideravo tantissimo possedere nella realtà.
(scurita)
I nomi dei gruppi segnati sui fogli sotto di me e della tipa anonima, furono decisi da me, non so per quale motivo, ma almeno ho scoperto che allora mi piaceva Bif Naked (cantante canadese rock-punk di origini indiane, che scoprii in quel tempo dopo aver comprato un suo disco ad un euro soltanto, ad una svendita assieme a mia zia, in una giornata di shopping non organizzato).
(scurita)
Non mi sembra che si prendesse l'autobus assieme, poichè io dovevo andare in stazione per tornare a casa, mentre Mari abitava già a Pisa, e in aperta campagna, mentre Francesca a volte si facev prendere in macchina da suo padre, ma vabbeh, tanto era una storia quasi inventata e assurda (dopo ovviamente l'ultima, per ora è quasi tutto normale). Frannie era il suo vecchio nomignolo, penso che questo ed anche il suo cognome erano scelti da lei personalmente. Altro fatto: Marina non mi aveva mai aiutato nei compiti di matematica: questo lo dimostra il fatto che prendevo pessimi voti in quella materia, ma anche che non accettavo mai aiuti da qualcuno (piuttosto ero io a darne).
(scurita)
Il compagno è invenzione di Marina. Io rispondo:"Ah sì, Kyle: si è ingozzato di pizza a ricreazione e si è sentito male, nulla di grave" e Marina:" Avra' vomitato in infermeria". Non capisco questa scena (ma tante volte non capivo il senso delle sue battute) ma Francesca schifata è identica all'originale: quella posa infatti la immaginai io, cercando di farla uguale alla realtà.
(scurita)
Pure questo Angel, è invenzione sua, come Danny. I look decisi da lei, ma interpretazioni mie: infatti Danny lo disegnai non molto vicino alle sue descrizioni... Forse perché non avevo un'idea chiara di "fighetto". Il nome della band sulla maglietta di Angel credo che lo decisi io. Marina dice:" Angel, ti ho cerrcato all'intervallo, dov'eri?" Non ho la più pallida idea di cosa rispose Angel, ma credo qualcosa del tipo "Eeeh avevo da fare sai". Francesca sempre verosimile, io che ridacchio come solito facevo, lei con la faccia stanca di qualcuno: sembra un po' la solita roba per teenager scolastica.
(Io avrei fatto molto peggio, magari un massacro dentro la scuola tra i due per avere tutta per sè Marina, poi loro uccisi da Freddy Krueger, ma la storia non era mia, purtroppo...)
(scurita)
Questo Angel dice:" Scusa (...) ma noi stavamo parlando. Lei fatta a omino con la scritta "Uscita" in inglese la decisi io. Okay, non nego che anche io immaginavo storie d'amore con tizi che si litigavano, però non erano a questi livelli. Non so, a me sembra irreale che un tipo si incazzi solo perché un altro voleva parlare con una compagna, bah. Poi queste cose "emo/dark" (che poi sarebbe corretto goth, non dark) mi annoiavano terribilmente, mi sembrava la solita solfa anni 2000 da cui volevo stare lontano (anche se anni dopo avrei creato Emmonuele, Emolio e Rosaria, erano comunque parodie e parecchio lontano dall'estetica goth: ero stufa di questa assonanza). Che palle, insomma, però ero costretta a farlo somigliante al classico anime/manga/soap opera.
(scurita)
"Ma che ho detto?" AHAHA.
Scusate, risata a parte per l'assurdo. Vabbeh che avevo un compagno idiota pure io che quasi mi chiedevo se avesse le patate nel cervello, ma uno che non si rende conto di giudicare qualcuno per l'aspetto, perché non capisce palesemente se qualcuno è un certo stile o no, ce ne vuole... Ah no nella realtà accade davvero: forse sto ridendo per non piangere. Franci diceva davvero quella frase con quello sguardo anche nella realtà, penso che tra tutti i personaggi (tralasciando me, Angel e Danny che non esistono -se non nella fantasia di Marina- e le varie comparse) lei sia la più normale e reale.
Quella mini me felice non so perché la misi, ma mi piaceva molto disegnare me come pupazzo, quindi l'ho messa a caso, così (tanto la storia è già assurda di suo), distanziarmi quell'aria da romanzetto scolastico americano. Non capisco poi nemmeno il ragionamento che fa lei in questa pagina: non è che se qualcuno cresce con te, non può innamorarsi di qualcuno con cui ha convissuto, mah... E non capisco nemmeno il dileguarsi di Angel dalla scena...

E qui chiudo anche questa sezione: il giorno in cui posterò le rimanenti parti, mi metterò una bomba ad orologeria per evitare ulteriore imbarazzo.

13 agosto 2017

DRAW MY LIFE_Parte Infanzia_Livorno_Anni 2002-2009

Arrivai così nella nuova città, totalmente diversa da quella a cui ero abituata prima, rifeci una nuova prima elmentare, conobbi alcuni miei familiari per la prima volta, conobbi anche usanze e costumi a cui un po' inizialmente a fatica capii, ma a che comunque cercai di adattarmi. Faceva molto più caldo, e c'erano barche, barconi e spiagge infinite, e la gente stava spesso sui muretti a fissare non so cosa, c'erano anche venditori ambulanti (che presero la mia attenzione particolarmente), mercatini pieni di cose curiose (altra cosa che mi attirò). Mi dispiacque molto che non c'erano montagne e molti parchi, ma più di tutto mi fece dispiacere che la gente si insultasse come niente: non conoscevo tutti i termini che usavano, ma sentivo una rabbia ed un nervoso che mi sembrava inusuale e assurdo, quasi inutile.
Ma dopotutto per me era come entrare in un mondo nuovo. Menziono anche che le strade e tutto intorno a me mi sembrava molto più sporco: c'erano sigarette e le peggio schifezze ovunque andavo, e questa cosa mi deprimeva perché io amavo molto stare per terra.
I miei capelli finalmente non vennero più tagliati corti e sembravo più una bambina che un bambino, ma i miei gusti rimasero invariati, se non peggio, perché mi appassionai anche ai mostri folkloristici, come vampiri, fantasmi (mia grande passione ancora adesso), zombie, lupi mannari e tantissimi altri. Ebbi anche come regalo un autobus mediamente grande, di quelli italiani, con cui giocavo spesso nell'ingresso, facendogli fare salti e voli con dentro (incastrati da me personalmente) alcuni dei miei pupazzini in plastica delle sorpresine kinder (adoravo tantissimo quei cosi). La fine di quell'autobus fu infatti di dividersi in due, con alcuni finestrini mezzi rotti e la parte mobile di gomma nera quasi martoriata. Amavo tantissimo quel bus, ma dovevo sfogarmi in qualche modo. Conservavo anche migliaia di pupazzi sul letto, sempre a farmi compagnia, con cui immaginavo sedute assieme a loro per decidere alcune regole, anche assieme a mia sorella. 

Mia sorella era parecchio gelosa di me, e quasi ogni giorno ci litigavamo, anche arrivando alle botte, alle tirate di capelli, al tirarci bastoni di ferro, perché spesso eravamo lasciate da sole in casa per ore, e mia sorella per la noia e chissà altro mi prendeva di mira (io ero più tranquilla e non volevo che qualcuno mi disturbasse mentre immaginavo chissà quale storia). Quando non litigavamo e lei era (vista l'età prescolare) con mia zia o all'asilo, io stavo parecchio a disegnare. Al tempo stavo nella stessa stanza di mia sorella, che dormiva in una culla, molto piccola, ma per me andava benissimo lo stesso, e speravo, un giorno, che diventasse mia. Ma successivamente saremmo state trasferite nella stanza matrimoniale, poi io nella stanza piccola da sola, per poi avere la mia stanza grande (la casa era in centro ed era molto spaziosa e piena di camerette), e lei un'altra sua. Quella grande la ebbi in tempo allentato dopo che all'età di 13-14 anni vidi mio padre la prima volta, ma questa è un'altra storia). Mia sorella mi rubava spesso disegni, vestiti, e tante altre cose, e non ammetteva mai le sue malefatte, così mi innervosivo spesso. Non avevo molti amici ed ero molto timida, avevo l'odio per la materia di matematica e volevo spesso stare per i fatti miei. Mia sorella invece era l'esatto opposto, ed ero invidiosa che in casa lei fosse trattata come una "principessina" perché simile a mia zia e cugini. Solo lo zio infatti era più affezionato a me. Anche se spesso ci aiutava a portarci fuori dal bagno (il periodo in cui entrambe facevamo il bagno caldo assieme, che si stava bene economicamente), e scherzava con entrambe, quella a cui stava spesso a guardare MTV ed i propri disegni fatti a mano, ero io. Non voglio nascondere che purtroppo mi avrebbe però fatto del male successivamente. Al tempo ancora mia cugina Valentina non abitava nella nostra stessa casa, e mio cugino giocava spesso con noi due a fare il soldato in guerra per acchiapparci: io ero più svelta ed a volte nessuno di loro tre riusciva a capire dove mi nascondevo perché ero magra e bassa.

Ritornando a come vedevo i livornesi, per me era "gentaglia brutta e cattiva". Persone che non si portavano rispetto, che si picchiavano, che si insultavano. A volte mi veniva il desiderio di tornare a Milano, ma essendo timida non dicevo niente e lasciavo trapelare ogni sentimento e pensiero. All'epoca andavano di moda i cartoni animati, i Blue, Jesse McCartney (parlarna ora mi pare passata un'era preistorica); ma io amavo molto il cinema ed alcuni attori come Leo di Caprio (scoperto grazie al film Gans of New York) e Will Smith (lui sin dai tempi di Milano, mi piaceva tanto la serie di Willy Il Principe di Bell-Air). Musicalmente non avevo gusti particolari perché ascoltavo solo quello che passava sull'MTV di allora, ma rimase la mia passione per un certo Eminem fino a quando a 13 anni non conobbi i SOAD e i Cradle of Filth. Mia sorella invece era patita di Avril Lavigne (che io non sopportavo), e mia zia la classica musica italiana che mal dovevo sorbirmi ogni giorno, anche quando si facevano i lunghi viaggi verso le spiagge private (quando stavamo bene economicamente) e poi pubbliche. Conobbi anche Caparezza e fu amore a prima vista. I nostri pomeriggi poi vennero frequentati da alcune "tate" che solo alla fine io continuai a volere nonostante mia sorella disse di non volerle più intorno. Una di loro, molto giovane, presi in simpatia come amica quasi, e ci parlavo di ogni cosa. Se non si guardava la tv, si andava alle ludoteche. La mia preferita era la Ruzzeria, con cui ricordo con piacere un Halloween in cui io e mia sorella ci mascherammo da vampiri. D'estate invece si era in una colonia estiva, con tantissimi bambini, e anche lì non mancarono i soliti bulli che presero di mira anche mia sorella. Non stavo molto a contatto con gli altri, ed anche lì sfruttavo molti fogli per disegnare. Mia zia mi costringeva spesso ad andare al mare, anche se io mi annoiavo a morte e volevo essere altrove. Ma per mia zia, io ero piccola e dovevo "socializzare", quindi niente "no" da parte mia. C'è anche il fatto che non amavo molto "scoprirmi" (indossavo spesso felpe per coprirmi il viso, pantaloni larghi, ecc), bagnarmi nel mare, la sabbia, gli scogli ed il caldo. Insomma, era un inferno! Ma di notte però mi divertivo davvero, quando coi bambini si andava nelle cabine, io immaginavo chissà quali killer nascosti che ammazzavano qualcuno con la motosega e così mi riempivo di adrenalina. Per farci fare più attività pomeridiane, zia ci iscrisse anche a corsi di judo, karate, vela, e per me solo, scouting e danza caraibica (questa scelta in realtà solo da me). Si frequentava spesso anche il parco di Villa Mimbelli, e quello che una volta fu uno zoo. I miei posti preferiti lì dentro erano le biblioteche.

Il tempo in cui conobbi mio padre per la prima volta, mi nascosero che era tale, ma io avevo già sentito "qualcosa" di strano tra me e lui, e quando mi dissero la verità, ebbi una reazione quasi indefinibile. Lui mi regalò il mio primo stereo, e un portacd arancione di 24 dischi masterizzati da lui stesso, di 23 artisti che non avevo mai sentito (e che voleva lui che asoltassi), solo perché io chiesi a lui di regalarmi un disco dei System Of A Down (scoprii questo gruppo grazie ad un anonimo ragazzino ad una delle mie gite). Mi regalò anche un cesto di gessetti colorati per disegnare nel muro, ma poi mia zia anni dopo me ne vietò l'uso. A scuola, ero ammirata per la mia "bravura" nel disegno, e perché leggevo più velocemente di tutti gli alunni, ma forse anche per questo venivo lasciata in disparte e forse qualcuno mi invidiava per questa capacità. Mi criticavano anche per la mia macabra fissa per il sangue, per i morti e le cose spaventose, per come parlavo sbagliando le parole, per la mia lingua a serpente/carta geografica, perché mi nascondevo spesso la faccia. Già dal primo giorno ricordo che quando entrai in classe, mi nascosi dietro la maestra, evitando il contatto visivo con i coetanei, e mi rifiutavo anche solo di sussurrare "Buongiorno". Loro pensavano che "me la tirassi" ma in realtà è che avevo una fottuta paura di emozionarmi troppo, di sentirmi avvampare di rossore e di fare gaffes. Ebbi anche da mio padre un computer vecchio, che in poco tempo si fulminò a causa di mia sorella che ne staccava sempre la spina per dispetto, ma ovviamente punirono me per l'incidente. Quasi ogni cosa che capitava in casa era colpa mia, e per me era frustrante, dover fare le faccende ed essere punita per cose che non avevo fatto, solo perché ero esplosa in rabbia. Mia zia era molto manesca e usava tali metodi anche per quando faceva matematica con me: io per paura di sbagliare non parlavo e lei alzava le mani; altre volte ancora invece mi faceva fare le nottate finchè non risolvessi certi compiti sui libri delle vacanze. Ecco perché cercavo di isolarmi il più possibile.

Ebbi anche un amichetto d'infanzia, figlio adottivo di un'amica un po' "strana" di mia zia, non di origini italiane, con cui giocavo gran parte del mio tempo. Il nostro passatempo preferito era quello di andare al parco che era una volta zoo, ed acchiappare... Piccioni. Sì, lui mi insegnò a catturare quei volatili e io imparai in poco tempo. Si catturavano e poi si rilasciavano, per poi acciuffarne altri. A volte raccoglievo le loro piume come prova. I piccioni divennero i miei uccelli preferiti, la mia preda di caccia dopo gli insetti. Essi divennero anche protagonisti di molte mie storie di fantasia. Purtroppo stavo crescendo, e le mie coetanee non avrebbero visto di buon occhio una bambina a cui piaceva giocare con gli uccelli (già mi guardavano male per il mio vistoso interesse per le cose horror), così a poco a poco cercai di frequentare poco il mio amico, anche se mi dispiaceva dentro. Un altro motivo per cui però mi allontanai da lui era anche quello per cui la gente sparlava male di lui: non volendo essere paragonata a quelle voci perché sua amichetta, ne presi il più possibile le distanze. Non fu facile perché non mi piaceva che lo insultassero (era un bravo bambino e non faceva del male a nessuno, non capivo tutta questa cattiveria nei suoi confronti), ma già soffrivo di mio per come mi considerassero... In casa poi era tutto un discriminarmi: oltre che lamentarsi delle mie poche amicizie, mi affibbiavano insulti gratuiti (Mongoloide il più usato, ho cominciato a odiare chi usasse come insulto questo, anche perché per me è molto razzista e xenofobo, oltre che irrispettoso per i malati di trisomia 21), mi criticavano perché "poco femminile" e "sempre distratta", mi criticavano per i Cradle of Filth che ascoltavo dallo stereo in salotto (prima che avessi il mio da mio padre), per le tematiche horror, e per il fatto che mi lavavo poco, non curandomi molto, oltre che, per il mio stile un po' bizzarro ed esagerato: indossavo un enorme medaglione pesante e parecchi polsini ed orecchini vistosi (mia cugina una volta mi chiamò "zingara" per il look - indossavo parecchie fasce in testa per nascondermi la fronte ed i capelli poco curati). Ovviamente non potevo mai contestare cosa mi dicessero, altrimenti sarei stata punita, così mi tenevo dentro la rabbia spesso. In quel periodo infatti frequenti furono i miei pianti e lacrime calde versate: ero stressata e volevo solo essere lasciata in pace. Stavo odiando fortemente Livorno ed i suoi cittadini e temevo di diventare come loro.
I miei amici erano Cristina (a casa sua, unica volta, ballammo su un tappetino e ci facevamo le trecce a vicenda), Sara (ragazzina mulatta con cui parlavo spesso), Vilma (ragazzina proveniente dall'Albania, quando tutti la prendevano in giro, specialmente durante una gita con piccolo show interpretante la storia di Artù, Ginevra e Lancilotto, io presi le sue difese), Giacomo (dividevamo la passione per la Cupa Mietitrice) ed Algert (altro ragazzo albanese, non ricordo molto per cui lo frequentavo), ma divenni molto amica intima di una mia quasi ominima, con la passione verso l'adolescenza, del gruppo Beatles (di cui mi appassionai più avanti). Ci frequentavamo spesso a casa sua, e a ricreazione giocavamo assieme a fantasticare su ipotetici fidanzati delle Superchicche inventati da me (quella serie animata era la mia preferita). Ebbi anche la mia prima cotta: il ragazzo era un coetaneo di una classe vicina alla nostra, (visto per caso durante un veloce trasferimento delle mense) un bambino in carne dai lunghi capelli biondi ed occhi scuri. Purtroppo il ragazzino era un po' esaltato ed egoentrico e quando (vincendo un po' la mia timidezza) mi feci avanti per dichiararmi, lui mi liquidò con un insulto al colore dei miei capelli. Nonostante fossi molto amica di questa bimba, rispetto a mia sorella, non invitai mai a dormire qualcuno in casa, perché mia zia diceva sempre "Prima deve pranzare on noi", ma ciò non accadeva mai per svariati motivi, quindi alla fine, anche dopo i 17 anni, non ebbi mai l'occasione di poter fare serata con qualche amica/amico (guai l'amico, è un maschio!) vicino al mio letto. L'unica cosa buona era che abitavo in pieno centro, e non sapendo usare la bici (ne' volevo usare l'autobus) potevo andare in qualsiasi posto e tornare subito a casa. Spesso andavo a trovare i miei nonni o andavo da sola ai parchi, ma altre volte passavo per il McDonald, il posto in cui feci un mio primo compleanno veramente bello, in cui ricevetti molti bei regali (tra cui una Diddlina misura grande): la mia torta era rosa con un Hamtaro che mordicchiava un lapis seduto. I miei compagni comunque sia furono meglio di quelli che ebbi negli anni dopo: quando dovetti fare la mia operazione all'orecchio (soffro e soffrii di otite dannosa) e non potei fare la settimana bianca, al mio ritorno mi fecero una festa con tanto di grosso lenzuolo scritto da loro per salutarmi e ringraziarmi dell'arrivo in classe, che conservo tutt'ora. Cosa diversa invece per quando ci fu il periodo dell'attività annuale sportivca delle classi (non ricordo il nome dell'associazione), perché non amavo molto lo sport, e credendo di essere un peso, non partecipavo mai attivamente alle gare. Anche a scuola, nell'ora di sport, avevo paura di ricevere i palloni (timore vinto poi, anche se avrei preferito evitare tutte quelle prese in giro dalle maestre...) addosso, e detestavo correre per la stanza insieme agli altri. Ricordo che mi punirono perché disegnai sul muro del bagno ("Ma è così triste il bagno, è solo un disegno!" fu la mia risposta), un'altra volta mi ripresero per aver "causato caos" ai miei compagni per averli spinti a spostare sedie per "simulare" tombe per i vampiri (ehm...). Ultimo ricordo, riguarda anche le maestre: disegnai le tre in forme di creature fantastiche, ed una era un mostro, forse il solito vampiro. Quest'ultima mi chiese come mai e io risposi che la vedevo come un mostriciattolo (in effetti era la più antipatica), ma per timidezza e per senso di colpa (una volta prima immaginai di gonfiarla come un pallone per poi bucarla con uno spillo e farla volare via dalla finestra), dissi che disegnai lei così perché per me i mostri erano bellissimi, buoni e fantastici: lei però non credette alla mia versione (comunque sia io credevo davvero ciò essendo amante delle creature mostruose, un po' di fondo di verità c'era) e mi costrinse a cancellare un po' il suo ritratto. Io mi arrabbiai, piansi e lei si scusò: la disegnai alla fine vestita da Superman (un mio supereroe preferito).

30 luglio 2017

DRAW MY LIFE_Parte Infanzia_Milano_Anni 1994-2001

Non ho idea del perché non ci abbia pensato prima, ma ho deciso che finchè ancora disegnerò quel fumetto sulla mia vita che inizia settimane svariate fa (Draw my life, una specie di "sfida" tra disegnatori in cui si illustrano le proprie esistenze sulla Terra o quel che se ne ricorda), ne posterò le parti già pubblicate, aggiungendoci moltissimi altri dettagli, poichè le vignette rappresentative sono brevi e contate. Lo faccio anche per avere un aiuto in più, per rendermi le cose più facili se dovessi disegnare altre scene del mio passato.
Nacqui il 22 gennaio dell'anno 1994, non so a quale orario, in un ospedale di Cecina (provincia livornese). Lo stesso anno in cui Marilyn Manson pubblicò il suo primo famoso album, lo stesso anno anno in cui i KoRn diedero inizio al genere musicale NuMetal, lo stesso anno in cui uscirono al cinema Il Re Leone, Intervista col Vampiro, Le ali della libertà, Forrest Gump, Il Corvo, The Mask, Miracolo nella 34esima strada, Ace Ventura e Pollicina di Don Bluth. L'anno anche in cui in Italia fu fatto un trapianto di cuore da un povero sfortunato bambino americano che passava di lì con la famiglia. (leggi la cronaca di Nicholas Green) I miei genitori, da quel che so, non erano nemmeno sposati, e mio padre non aveva nessuna intenzione di avere figli, ma mia madre (so che queste son cose non belle a dirsi ma è accaduto così e altrimenti dovrei "oscurare" questa parte) era testarda e mi fece nascere lo stesso, per poi scappare da mio padre e andare a cercare aiuti vari per farmi crescere. (questo è quel che so da mio padre e vari parenti) Non so come andò dopo, ma a cinque anni mi trovavo in un istituto per bambini senza famiglia, perchè a lei e a lui avevano levato il diritto di essere miei genitori, anche se vagamente ricordo che le prime volte lei veniva a trovarmi in un salotto per regalarmi quei pennarelli che tanto andavano di moda, che se ci soffiavi sopra usciva una polverina colorata -a mo' di aerografo-, ma che poi io usavo solo come pennarelli classici per disegnare. Ho solo una foto di quando ero neonata, ed è una bellissima foto dove io, con in testa solo una fascia rosa con una farfalla dello stesso colore a decorarla, osservo e tiro un ciuffo di capelli della mia cugina, che nella foto era una ragazzina, con mia madre sfocatissima dietro e lontana da noi due. Ora che ci penso sembrava quasi un segnale del futuro, visto che sarei stata poi affidata alla famiglia della mia zia materna, di cui faceva parte questa mia cugina (che non nascondo che detesto).


Il periodo della mia vita più felice fu quello della mia infanzia nonostante tutto, nessuno mi insultava e nessuno mi alzava le mani, perché stavo con dei tutori e tanti bambini mi rispettavano. Ero una bambina abbastanza curiosa ma facevo anche perdere la pazienza a chi mi stava dietro. Infatti solo una volta uno dei tutori mi alzò una mano addosso, e accadde perché io mi nascosi dietro il mio armadio: volevo spaventare la mia tutrice preferita, Luisa, ma nonostante gli altri bambini mi avvertissero della possibile sfuriata di lei, io feci di testa mia e quando lei aprì l'armadio, io saltai fuori urlando. Ricevetti uno schiaffo per la prima volta e per lo shock e la frustrazione di non aver fatto nulla di male (lei si arrabbiò perché secondo lei avevo schiacciato i miei vestiti dentro), calmai un poco il mio carattere. Ciò mi portò ad avere ancora più paura della gente perché non capivo mai come comportarmi con loro per evitare altre manifestazioni violente su di me, e finii per chiudermi ancora più in me stessa, già che ero timida di mio. Ma nonostante questo, per il resto stavo alla grande, giocavo con gli insetti (la mattina mi alzavo sempre per alzare le mattonelle pesanti per "salvare" questi dalle "cattive" formiche), catturavo cavallette (con un barattolo di vetro, le sapevo acchiappare anche a mani nude). scalavo massi (una volta Luisa si spaventò così tanto vedendomi su una collina rocciosa alta), mi scavavo fosse di sabbia per starci dentro con la testa fuori (come in alcuni film che vedevo al tempo), mi arrampicavo su alberi grandi fino in cima, pattinavo coi roller per ore ed ore in totale solitudine (potevo farlo solo intorno all'istituto, ma meglio di niente...) e saltavo sui divani dopo averli messi assieme in fila indiana (perché se saltavo sul mio letto facevo imbestialire i tutori). Per quanto riguarda i bulli, quelli ci litigavo abbastanza, uno di loro arrivò anche a strapparmi alcuni capelli in bus, ed un altro gruppo mi prese di mira quando al mare di Rimini, ero sopra il mio materassino a forma di pupazzo di orca, minacciandomi di bucarmela. Piangevo tanto a questi episodi non capendo i loro atteggiamenti verso di me. Il primo bulletto poi era anche colpevole di aver fatto la spia su di me in uno dei miei tentativi di portarmi qualche animaletto in stanza. Avessi conosciuto le care bestemmie, le avrei urlate tante a tutto l'istituto intero.

Della mia infanzia ricordo sopratutto i miei sogni, perlopiù incubi, perché se ero felice fuori, nel mondo dei sogni era un fottuto terrore. Non tutti i ragazzi ed i bambini lì erano miei amici, e non mi consideravano molto, per cui appena andarono via i miei compagni di stanza, mi sentii molto più sola di quel che ero già. Pensavo inoltre che non avrei mai scoperto il mondo, perché credevo che sarei rimasta lì per sempre. che loro fossero la mia vera famiglia, e soffrivo un po' anche per le regole riguardo le uscite fuori. Divenni insonne per gli incubi ed anche perché volevo uscire la notte, l'unico momento del giorno in cui nessuno mi rompeva le scatole, ed ero affascinata dalla luna, che fissavo dal mio letto per ore, immaginando di poterla toccare con la mano, o che mi parlasse. Ero molto fantasiosa e molti dei miei taccuini che portavo in viaggio dimostrano in pieno questa mia immaginazione fervida: immaginavo che il buco/macchia della mia tenda fosse l'occhio di un T-rex che mi proteggeva e fissava la notte, che un'amazzone mi seguisse in corsa davanti al bus mentre viaggiavamo, che due cani di media taglia mi infastidissero mentre camminavo cagandomi vicino ai piedi (lo so è strano), che una famiglia allargata di fantasmini mi venisse a far visita prima di andare a dormire, che una tarantola gigante di legno fosse il mio animaletto domestico (la costruii davvero questa cosa, con tanto di guinzaglio per portarmela al giro come un cagnolino). Ma immaginavo anche cose terribili e spaventose, come una strega che mi aspettava dentro un capanno, un lupo gigante pronto a divorarmi nel bosco (erano anche presenti spesso nei miei sogni, ma in questi riuscivo sempre a salvarmi o a combatterle): il mio incubo più terrificante ed angoscioso era però un altro. Non conoscendo molto il mio corpo (pensavo che i maschi avessero la vulva/vagina come me), andavo a dormire con il cuscino sopra le mie braccia (non riuscivo mai a dormire insomma, il cuscino si scaldava troppo e io per ore giravo il cuscino nella parte fresca, facendo lamentare i miei compagni di stanza che invece volevano silenzio...). Sentivo così un battito regolare pulsante di cui non capivo l'origine, e pensavo che fosse un boia che camminava con fatica verso di me per tagliarmi la testa. In realtà, come scoprii molti anni dopo, il tonfo che sentivo non era altro che il pulsare delle mie vene/arterie del mio orecchio/braccio, poichè ebbi una feroce malattia proprio in questo punto; ma al tempo non ne sapevo niente, quindi fantasticavo così.

Guardavo anche filmati didattici su dinosauri, documentari sui dinosauri, lasciavo in giro, anche nei miei viaggi, alcuni piccolissimi dinosauri in plastica che portavo in un sacchetto: insomma, la mia fissa erano loro, così come erano protagonisti di moltissimi miei sogni, anche in anni successivi, come semplice metafora delle mie paure. Mi regalarono un cicciobello ma io non ci giocavo mai, ne ebbi Barbie (le detestavo), mi regalarono anche tanti Pikachu (amavo i Pokèmon) e due farfalle peluche (da piccola creai un personaggio così di nome Faiti dalla storia drammatica). Quando però a scuola era ricreazione, io di nascosto rubavo quei finti gioielli di lego perché mi affascinavano i minerali, ma mi scoprirono subito quindi smisi. Così simile fu infatti il mio primo ricordo dei miei primi anni di vita: dopo aver rubato dei cioccolatini a forma di ovetti, mi nascosi in una culla per bambolotti, mangiandomeli poi in tutto quel tempo che ci misero per trovarmi (non a caso mi chiamavano "gnoma"), per poi scoprirmi e incolparmi del mio "dispetto" verso le maestre. Avevo cinque anni ed ero molto golosa e furba. Comunque sia mi lasciavano abbastanza libera, e gran parte del mio tempo lo sfruttavo anche per guardarmi tantissimi film, che amavo un sacco. Anche se mi terrorizzavano. Mi terrorizzava il cattivo di Ghostbuster 2, quando fissava ed usciva dal quadro, mi terrorizzava il bambino protagonista Alan di Jumanji quando si scioglieva all'improvviso davanti alla ragazzina, mi terrorizzava la scena dei due t-rex che pasteggiavano col tizio nel wc, così come il traditore che veniva massacrato all'interno dell'auto, da cui sarebbe sgorgato del sangue verso il fiumiciattolo accanto sotto la pioggia... Mi spaventavano ma mi piaceva riguardarli ancora una volta.
Avevo in effetti un certo gusto del macabro, e disegnai anche un T-rex pallido di nome Morte, dopo il mio sogno con Pocahontas (sì quella della Disney, fu uno dei miei primi sogni) come creatura martoriata dall'uomo che si voleva vendicare, dagli occhi rossi. Forse in realtà è stata questa mia passione per le cose inquietanti ad avermi fatto allontanare da molti dei miei coetanei... Comunque non era niente in confronto a cosa avrei trovato anni dopo dopo il mio trasferimento: fui felice perché avrei visitato altri posti nuovi, ma credevo che sarei poi tornata ogni tanto anche all'istituto (cosa che non accadde mai più): conobbi mia zia, sorella di mia madre (lei mi regalava i Pikachu), e mi portai dietro alcune cose, ma non tutte. Infatti i miei disegni attaccati al muro rimasero lì, ma ebbi il mio album fotografico fatto dai tutori con le mie foto delle mie giornate laggiù (che ho ancora adesso, non tanto integro ma capite che ha 16 anni ormai), alcuni miei pupazzi e quadernini.
I miei viaggi preferiti erano quelli in cui si stava sulle montagne (non c'erano bulli e mi piaceva da matti l'atmosfera, ed era più facile stare di notte fuori). Ho bellissimi ricordi di quei periodi sui monti. Quando c'era la neve sciavo con lo slittino e facevo "l'angelo" un sacco di volte. Mi divertivo tantissimo e ricordo con divertimento un fatto accadutomi con uno dei tutori. Mentre altri sciavano, io e lui finimmo con la slitta dentro un rialzo tra una casa e la neve alta: non ci facemmo molto male ma in quella caduta provai tantissima adrenalina. Una sensazione simile ma più pericolosa la ebbi invece quando ero in spiaggi a Rimini. Venne una forte onda, talmente forte che riuscì a farmi girare su me stessa dentro l'acqua. Mi spaventai molto credendo di morire, ma fortunatamente mi trovai a riva e venni soccorsa. Un motivo dei tanti per cui cominciai a detestare il mare. Cambiai anche varie scuole materne/elementari, ed ad una di queste classi un giorno andai con indosso il mio copricapo da gatto che mi regalarono un dicembre/pasqua tempo fa. Amavo mascherarmi ed anche in quel giorno della gita sui monti chiesi di indossare il costume da coccinella che aveva uno dei tutori (ho pure la foto) prima di andare a dormire (cosa che non feci perché dopo ore di nascosto mi alzai per sentire sulla scala al buio cosa si dicessero). Avevo come tutti i bambini i miei rituali: oltre che saltellare alcune mattonelle come una schiacchiera, prima di andare a letto chiedevo sempre un po' di carezze contate sulla testa, perché non ero mai tranquilla prima di dormire. Una di quelle volte, mi svegliai (forse quando ero sempre in quella casetta di legno graziosa) e non vedendo più Luisa, mi misi a piangere in modo da non farmi sentire. Soffrivo così di leggera insonnia, e ricordo che mi davano anche delle pillole trasparenti per farmi rilassare: uno dei tutori mi trovò sveglia nel corridoio con il mio pupazzo grosso al petto, e chiedendomi come mai fossi sveglia a quell'ora, mi mostrò quella pillola, che ingoiai con disgusto perché mi facevano venire un forte mal di testa per il saporaccio (tipo nausea). Una volta accadde anche che mi svegliai nel cuore della notte (non c'erano più i miei compagni di stanza), perché ero completamente al buio e avanzando senza luce cercavo di capire come scendere dal letto, ma qualsiasi parte che toccavo era dura e fredda, e cominciai ad urlare e piangere credendo di essere stata murata viva. Luisa venne, accese la luce e mi trovò terrorizzata che toccavo il muro.

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