21 novembre 2017

Il suo nome è Tsotsi_Come ho visto questo bellissimo film. PRIMA PARTE (In ritardissimo)

Siamo già a settembre, ed è quasi tempo di grandi cambiamenti: sto per trasferirmi altrove col mio compagno e famiglia, e chi ha avuto esperienze simili sa com'è lunga la cosa e cosa comporta. Non avrò internet per un bel po' e quindi immagino già le ancor più lunghe passeggiate mentali che farò tra me e me, i disegni (che spero) fatti e finiti, o creati di nuovi, la scrittura che finalmente si sfoga sulla carta fresca di qualche quaderno grazioso a mio gusto... E qualche film, come solito.


Chi mi conosce sa benissimo quanto io AMI i lungometraggi. Sin dalla mia più tenera infanzia guardavo film cult o di serie b, emozonandomi e facendo maratone infinite, anche cercandomeli per un tema specifico; ed ogni volta che rivedevo più volte anche uno solo già visto, provavo sensazioni differenti. Non ho mai fatto mistero di ciò che guardavo, anche se la maggior parte dei film che mi piacevano facevano storcere lo sguardo (od il naso) o annoiare chi era intorno a me, perciò spesso quando potevo, me li guardavo da sola. Immaginate quindi quanta libertà nel visionarli alcuni. Il mio genere preferito, anche se a volte faccio eccezioni, alla fine, (per cui posso dire, dopo migliaia di film visti nella mia esistenza) è il tema drammatico (che sia animazione o no), dopo l'horror ed il fantastico/avventura, ma sopratutto sul sociale, in cui i personaggi sono a nudo, intelligenti ma anche umani, con storie tragiche dietro e parecchie emozioni intense. Sarà che io sono emotiva, ma se un film non mi prende molto sul piano emotivo, sul viaggio mentale dei personaggi presentati, non mi rimane impresso. Con questo non dico che non mi piacciano anche i film "leggeri", ma se qualcuno mi rivolgesse una domanda come:" Qual'è il tuo genere di film che guardi più volentieri, tra uno comico ed uno drammatico?", io sceglierei subito il secondo, perché alla fine di un film, da cinefila incalliata che sono, mi viene sempre voglia di approfondire, cercare recensioni, informazioni nascoste, curiosità sui personaggi o anche sul film stesso, storie simili ad altri film sul generis. Sono come un'archeologa: non mi stanco mai di revisionare finchè non sento di saperne abbastanza per farci un quadro vasto. Che poi, mi ascolto pure le soundtracks dei film, figuriamoci se non volgevo lo stesso interesse anche sui film di tale opere musicali: perché no?
Certo, le trashate filmiche me le guardo con piacere, ci rido, amo anche gli splatter morbosi, ma devo sentire anche un po' di sentimento, altrimenti per me è come un'ora o due buttate via. Per me vedere un film equivale a liberare la mia empatia altrove, in un mondo parallelo inesistente nella mia realtà, un viaggio come un sogno, in cui non so cosa capiterà, ma nello stesso tempo penso, e mi sento viva, come se fossi lì, provando anche forse le stesse emozioni e pensieri del protagonista.

Per quanto io amassi scrivere, non ho mai "raccontato" un film visto sul web, ma ricordo che fuori, con gli amici "di passaggio" ne parlavo come un'appassionata, a tal punto che mia zia lo notava spesso, consigliandomi (a volte seccamente) di smettere di parlarne:" Magari avessi questo interesse tu con la matematica, guarda come ti brillano gli occhi!"; i miei amici invece dicevano che "ero fissata" e a volte spaventava loro per come descrivevo con estrema cura i dettagli di ogni film horror, per cui avevo una passione gioiosa nel periodo della mia adolescenza ed infanzia. Era quasi una litania insopportabile sentirmi dire ogni volta:" Lo sai che il film di Psycho/Psyco si basa su un killer -complice anche la mia passione per la cronaca nera- che ha dato ispirazione anche per Buffalo Bill, Leatherface e tanti altri?" e non finivo più di parlarne. Eppure mi piaceva un sacco, amavo condividere con qualcuno questo mio interesse, ma la cosa non è mai sfociata del tutto, perché i miei amici del tempo non avevano una passione così grande come la mia per i film così. Nonostante questo però, torno al punto iniziale: non ho mai voluto scrivere sui film. Se l'ho fatto, non è mai stato così approfondito come vorrei fare ora, per la prima volta: un compito in esame di un film non è raccontarlo in prima persona, e nemmeno esprimere un giudizio breve su un remake orribile come feci tanti anni su Deviantart ( https://mrsmadisonlossen14.deviantart.com/journal/Caro-Venerdi-13-419725466 ) vale, quindi questa volta è davvero una cosa unica, mai fatta prima.

A regola dovrei farlo su tutti i film che amo, quindi farla adesso non renderebbe giustizia a tutti quelli che ho amato in questi miei quasi 24 anni di vita. Il motivo, è, che appunto, alcuni di questi film non sono molto "visti" quindi, facendo la descrizione "spoilerosa": 1) "Ma così mi rovini la visione del film!" e 2)" Tanto non interessa a nessuno, che lo scrivi a fare". Ebbene penso che si sia capito cosa voglio spiegare in questo terzo punto. Io racconto un film come se si leggesse un libro, non descrivo tutto da punto oggettivo, ma dal mio punto di vista, perché come detto, mi piace parlare di tutto ciò che riguarda il film, e poi diciamocelo: leggere un libro e poi guardarsi il film non è la stessa cosa? Sai già il finale, eppure leggi ugualmente, perché son esperienze differenti. Ergo io faccio la stessa cosa. Quindi se siete il genere di persona che non apprezzano "gli spoiler" potete benissimo non leggere, nessuno vi costringe. Il blog è mio e scrivo cosa voglio, se me ne piace parlare.

Recentemente mi sto guardando un sacco di film (prima ne potevo vedere pochi e non sempre, perché mia cugina era spesso alla tv e quindi dovevo aspettare che la casa fosse vuota per potermi vedere uno dei miei dvd o qualche film trovato per caso, anche di notte fonda, il mio momento preferito), spesso su temi forti e sociali, come povertà, sacrificio, razzismo, bullismo, rabbia ed altri disagi sociali. Un po' perché ho vissuto anche io cose così (non ero certo una ragazzina con cellulare e vestiti alla moda), un po' perché mi piace la storia dell'umanità ed i suoi errori (tipo la stregoneria del medioevo e dopo, lo schiavismo, l'infibulazione, la merce umana, i clochard, i veterani lasciati come se non fossero stati niente, le favelas, l'alcolismo ecc). Non so perché ancora mi interesso a queste cose, ma mi interessano ancora (mi si perdoni l'abuso di interesse). E' naturale in fondo che mi attraggano sempre.

Ebbene, nelle scorse settimane ho trovato un film che aveva un titolo che forse avevo già letto in passato senza farci molto caso: "Il suo nome è Tsotsi".
                                                   









(copertina della versione italiana)

(copertina della versione universale)
   
(altre versioni)

Il film, un lungometraggio vincitore di alcuni premi, è stato girato e prodotto in Sudafrica, ed è del 2005, quindi neanche tanto recente (al tempo io avevo 12: cavolo, direi...). E' un film ovviamente drammatico, basato sul libro omonimo di Athol Fugard. La trama è semplice, ma son le cose che si lasciano trasparire dal personaggio che mi hanno colpito maggiormente, oltre che la fotografia, molto suggestiva (si passa dal grigiore della sporcizia urbano, al dorato della povertà sudafricana).
Anche questo parla delle gangs, ma a differenza dei suoi "compagni" afroamericani cinematografici, qui i personaggi sembrano davvero "vivere alla giornata": non organizzano nulla, poco si sa di che marachelle han vissuto, spesso non fanno niente. Sembrano davvero dei ragazzini che vivono di completa solitudine. (Boyz 'N the Hood aveva il protagonista "bad boy" non amato molto dalla madre; Giungla di cemento aveva uno dei protagonisti un bulletto che si sentiva figo e basta, tanto per dirne alcuni) Eppure, non sapendo cosa abbiano fatto, si viene a capire il disagio profondo che hanno dentro, delle ferite che non emargineranno mai.
I protagonisti principali sono Tsotsi (nome d'arte dal gergo Tsotsitaal, -mixaggio di lingue parlate in Soweto- che significa appunto, "Piccolo Gangster" poichè il capo del trio pare essere lui, oltre che protagonista del film), un giovane dicianovenne natìo del posto; Butcher ("Macellaio", non penso ci si faccia dubbi sul significato), un tipo alto, che nel gruppo è quello che, nei casi di estremo rischio, uccide le vittime (con un particolara arnese lungo ed affilato di cui io non so riconoscerne l'uso, mi spiace), Aap (il cui nome pare significhi "Scimmia"), un bonaccione un po' in carne sempre allegro, che difende a spada tratta il protagonista; ed infine Boston (amerà la città americana si vede...), un ragazzo fortemente sensibile e avezzo all'ubriacatura facile. Tutti sembrano avere la stessa età del protagonista.
In poche parole: Tsotsi è il capo, Butcher il killer, Aap il feliciotto, Boston la parte matura e calma.
Un punto a parte su Tsotsi e del perchè abbia cambiato il suo vero nome, è importante e verrà fatto capire durante il film. Per quanto io mi sia ritrovata in lui, per quanto riguarda la ferita simile, lui ha fatto l'inverso estremo di cosa abbia voluto fare io, ma forse chissà, se nel film fossimo arrivati alla mia stessa età, probabilmente avrebbe cambiato sistema di identità e ricordato il passato, chissà...
Parlo della cancellazione del proprio passato: Tsotsi è sofferente, ha sofferto, ma vuole cancellare ogni traccia del suo passato. Ci stava riuscendo finchè un giorno, arriverà a scontrarsi coi suoi demoni. Io avrei scritto così la trama, ma forse era troppo evidente? Non so.
Tsotsi è nato da due genitori che non se la passavano bene, una madre malata di Aids (citato più volte nei backgrounds urbani ad inizio film) ed un padre alcolizzato e violento. Fortunatamente io non ho avuto genitori così (per quanto nemmeno io ho li abbia avuto presenti come coppia genitoriale), ma ho sentito molte cose in comune con lui. Entrambi abbiamo demoni, entrambi abbiamo fatto amicizie di cui c'eravamo rotti le scatole, e fatto e cose non proprio legali, entrambi siamo scappati da chi ci cresceva, entrambi, per quanto cerchiamo di fuggire del passato, ne veniamo contro, ed entrambi... Ma non posso dire altro, poichè è sopratutto il finale che mi ha fatto sentire a nudo me stessa.

Il film inizia con canzoni ritmiche in lingua zulu, con i personaggi principali subito mostrati nel calore sudafricano, intenti a giocare coi dadi: il "Macellaio" sbaglia il conteggio e viene preso in giro dagli altri, perché corretto dal maestrino Boston, mentre Tsotsi osserva dalla finestra il paesaggio, prima di venire distratto dalla domanda definitiva: "Hey Tsotsi... Che facciamo stasera?"
Parte la musica trascinante e vengon presentati personaggi secondari che conoscono per fama il protagonista, deridendolo perchè non sappia guidare un'auto, mentre quest'ultimo e compagni mandano un bel "fuck".
Ebbene, questi qui sembrano essere più economicamente stabili rispetto a Tsotsi, e se la ridono di gran gusto. A parte quello in mezzo, io se fossi in loro lascerei le risate per me stesso, perché specialmente quello a destra, pare che abbia un pentolone a forma di ditale sul capo, hah...



Okay, sembra davvero che abbia un ditale sulla capoccia.
Che si metta pure simulatori di ditali sul cranio, ma non si metta poi a citicare qualcuno per sciocchezze come non saper guidare un'auto, però.
(Ovviamente sto scherzando, non mi interessa davvero come vesta una persona, ma occhio per occhio...)

Un grosso cartellone fa capire che venga preso molto in considerazione il problema HIV: segnale che verrà visto in altre scene, e focalizzato anche nel passato, in modo tristemente evidente, di Tsotsi.






(foto dal web)
I quattro giovani così adocchiano un signore visto per caso, osservandolo mentre compra qualcosa da una signorina. Nell'ordine della figura abbiamo: Boston, l'ubriacone e quasi insegnante maturato; Butcher, che non vede l'ora di sgozzare qualcuno, ed Aap, che, ovviamente, sta sempre dietro al leader, Tsotsi. Non sono vestiti molto sgargianti, ma neppure si muovono tranquillamente: con cautela e silenzio seguono l'agognata preda casuale fino ad entrare nel treno assieme a questa.
Tutto accade in pochi minuti di tensione e rumori metallici di treni. Il povero signore si domanda come mai questi ragazzi lo accerchino senza un motivo, mentre Tsotsi intima lui di stare in silenzio (con il dito sulle labbra a sibilo) e Butcher fa mostra del suo arnese da assassino seriale. L'uomo però parla per un secondo dopo essere stato subito derubato, venendo colpito all'istante nella pancia da Butcher. Nessuno si accorge di niente, e nella calca i quattro lasciano cadere l'uomo, ormai morto, lì dov'è. Siamo così in un bar/disco frequentato dai protagonisti spesso, ma perché Boston ha vomitato per la nausea, e si capisce che prima d'ora non avevano mai ucciso nessuno (quindi erano solo ladruncoli da quattro soldi, come modo di dire). Aap da "cagnolino" dice a Boston di stare zitto e lasciar perdere. Arriva la signora, presumo gestore del posto, che ovviamente dice loro di non voler problemi (quindi conosce le loro vite). Si nota il nervosismo di Tsotsi: non parla, ma continua a muoversi avanti ed indietro sulla sedia, ascoltando con interesse Boston, che beve.
A questo punto momento clou ancora: Boston mostra a Tsotsi metaforicamente, il senso di colpa e di dolore provato nell'uccidere l'uomo, ferendosi con la bottiglia rotta sul tavolo, sul proprio braccio. " Sai come mi sono sentito io dentro, Tsotsi? Così.". Poi provoca sempre più vicino a sè Tsotsi, chiedendogli se ha mai avuto rimorsi o pentimenti, se hai mai avuto amore o carità, e quindi dei genitori.
Tsotsi allora si arrabbia molto, e picchia furiosamente il collega. Si capisce che nessuno, a parte Boston, sappia le origini del protagonista.
Tsotsi così fugge dalla confusione, e la signora va in corso da Boston, ordinando agli altri due del gruppo di non far invitare mai più il leader nel suo locale. Il fatto che sia intervenuta lei non è a caso.
Piove fortemente, e Tsotsi raggiunge un viale alberato di casette moderne di compaesani benestanti che non conosce. Vede un'auto passare da una di queste, da cui esce una signora che citofona. Il nostro non si fa domande e va verso l'auto, per rubarla, ma la signora se ne accorge in tempo e apre la portiera: Tsotsi così le sparerà in pancia direttamente, fuggirà via, e il marito, giunto dopo (non fa in tempo quindi a vedere in faccia Tsotsi), tirerà su la moglie terrorizzato: essa griderà:" Il mio bambino!".
(Tra la scena di Totsi che si incazza con Boston al locale, e quella dove spara alla donna urlante, appare questo momento veloce. E' importante perché è una delle cose che farà capire il passato di Totsi, nonchè altro luogo che riapparirà per ben tre volte nel corso del film. Una sorta di "isola che non c'è")
                                                        (foto e collage di mia creazione)
Durante la fuga, Totsi è preda dell'ansia e della rabbia, ma i guai non sono finiti, perché da dietro i sedili sentirà un vagito. Un vagito di cucciolo di umano, di un bebè. Di un neonato compaesano.
La fotografia qui per me è impeccabile, sporca, arida nei momenti caldi, umida nelle scene fredde.
Il ragazzo così ferma l'auto prima di cadere tutti e due dalla strada per l'inaspettata sorpresa, scende e riflette un attimo. Vorrebbe lasciar perdere il neonato ma questo piange, e così Tsotsi, mosso da qualche istinto nascosto sino ad ora, prende alcune cose dall'auto, e il bebè, portandolo dentro una borsa dell'auto trovata vicino, per fare a piedi un lungo tragitto arido vicino a dove abita.
E' già mattina e la fotografia è di nuovo coi colori arancioni e dorati. Il ragazzo così comincia a prendersi cura, seppur nel modo più disastroso possibile, del neonato rapito senza volerlo. Pulisce il culetto alla svelta e cambia il pannolino, mettendo al povero piccolo pezzi di giornale e scotch. Ovviamente il bebè non gradisce e frigna istericamente. Sta per parlare col bebè, ma arrivano due del suo gruppo a bussarli alla porta, chiedendo come stia. C'è così un momento divertente, in cui Tsotsi inventa sul momento di avere la diarrea pesante (per nascondere che abbia il bebè, che ha appena cacato allegramente). I due ci credono e continuano a parlare mettendo la loro attenzione su una ragazza lì vicino, con un bebè alla schiena, che passa in mezzo ai compaesani, sentendo le loro battute un po' sessiste da un tizio a caso ed Aap, e guardando male questi due, va via dopo essersi rimossa il lenzuolo colorato che sosteneva il suo bambino dietro la propria schiena. (a mo' di difesa personale del proprio pargolo dalle brutte vociacce...)
Tsotsi si congeda subito senza spiegazioni e i due vanno via, ritornando alla puzza che hanno sentito dalla sua casa, e su quanto possa essere pesante e "autentica" la diarrea fulminea dell'amico.
Scena dell'ospedale, in cui riposa la moglie colpita, accarezzata dal marito che si indigna perchè la polizia (lì presente) non riesca a trovare il colpevole. Essi rispondono che la cosa potrebbe essere ardua per via dell'alto numero di abitanti della città in cui pensano risieda il pistolero.
Di nuovo riappare la scalinata della stazione, colori verde neon; Tsotsi inciampa nel senzatetto, che è una presenza fissa lì, facendolo svegliare e incazzare come una betoniera in azione. Tsotsi si limita a guardarlo, e il clochard regala a lui un suo sputo sulla scarpa. Tsotsi lo guarda ancora, ansimante.
Nonostante questo regalino di poca stima verso di lui, Tsotsi lo segue senza che lui sappia (è sopra una carrozzella decorata come se fosse una pseudo-mercedes da gara per macchinine creative da gare di Redbull, ed è disteso, quindi non può voltarsi senza girarsi con tutto il mezzo) e dà buca agli altri che lo aspettano sempre al solito punto in stazione.
Tsotsi lo segue fino a dove capisce dove abiti (il dietro della stazione, in mezzo alle colonne portanti dei binari), poi tira una monetina, chiamandolo a sè. Il barbone si volta e chiede giustamente se il ragazzo voglia i suoi soldi, ma Tsotsi chiede piuttosto che si alzi in piedi: il clochard si stupisce e lo manda allegramente a quel paese, perché Tsotsi non crede che lui abbia l'handicap evidente.


Tsotsi però non vuole perdere la gara tra lui e il senzatetto, e si posta in avanti. Il clochard posa a terra la sua scatolina dei soldi per levarselo di torno, Tsotsi fissa la scatola e il barbone ancora si domanda cosa voglia da lui il ragazzo silenzioso, che successivamente tocca con il piede le scarpe eleganti del pover'uomo, mentre questo si allontana da lui, sempre muovendo le mani sul suo mezzo per muoversi. Il disabile vero così tira le monete buttate a terra da Tsotsi e inveisce contro, ma sembra più un fanculizzare volto allo sfinire, al dire "Ci mancavi anche te, che rottura di corbezzoli..."
Poi mostra Tsotsi a lui la pistola che ha sotto la giacca.





E qui parte una scena che ha letteralmente scosso il mio cuoricino: già mi fanno pena i vecchietti, figuriamoci se disabili e con questa disgrazia di vita... Insomma, il vecchio si dispera, ma una sorta di disperazione passiva. Dovrebbe far ridere, ma invece fa tanta pena, perché l'uomo ammette senza tanti giri di parole che si è pisciato sotto dalla paura. Lo dice con una voce strozzata dal pianto, una voce disperata, come se avesse avuto così tanta già merda nella sua vita che poco importa la sua dignità, ma nello stesso tempo è disperato perché non capisce perché voglia il ragazzo minacciarlo con la pistola, visto che non può nemmeno difendersi. Il ragazzo, all'enesima domanda del perché stia seguendo il clochard, si avvicina con calma, sempre fissando in faccia l'anziano, e inginocchiandosi racconta, senza dire che si tratta di una cosa accadutagli in famiglia, di un cane picchiato da un uomo fino a farlo stare paralizzato come lui. L'anziano domanda quale uomo possa mai fare una cosa del genere, perché abominio, ma Tsotsi scuote la testa e domanda all'altro come sia accaduto l'incidente al clochard, che spiega di aver perso l'uso delle gambe dopo un incidente in fabbrica mentre lavorava.
Tsotsi non capisce come mai allora l'uomo, in quelle condizioni, non abbia deciso di farla finita, ma l'anziano fa capire che nonostante le difficoltà e la sofferenza di ogni giorno, lui voglia ancora sentire "il tepore" (la cosidetta voglia di sognare, di sperare, di tentare di vedere il bello anche nelle cose brutte: questo è uno degli elementi chiave del film che aiuterà Tsotsi a cambiare).
Tsotsi così se ne va via, dicendo solo al clochard, di raccogliersi le monete.
E' quasi l'alba e Tsotsi torna a casa sua.
Appena chiude la porta sente i vagiti e si ricorda con fretta del bambino lasciato dall'altra sera, in condizioni pietose e con mille formiche sul bavero a causa di qualche yogurt o latte, non so. Apre la finestra e vede ancora la ragazza del giorno prima, mentre prende dell'acqua con altre persone in fila dietro di lei. Tsotsi così scende e decide di seguirla fino alla sua casa. E' una sua vicina.
Entra dentro e lei si spaventa, fa cadere la tinozza d'acqua e prende un coltello, ma Tsotsi ordina a lei di metterlo giù, di posare il suo bambino sul letto e di guardare dentro la sacca che ha posato sul tavolo vicino a lei. Lei così vede il bebè disgraziato e Tsotsi ordina ancora di allattarlo.
Lei fa anche questo e Tsotsi la osserva mentre aspetta che lei faccia il "suo dovere" verso il bebè non suo. Lei lo fissa, e lui ne approfitta per osservare la casa della ragazza, con evidenti e luccicosi affari per bambini, di quelli che si mettono alle culle per distrarli, come tendine, fatte da lei di pezzi di vetro e ferraglia. Tsotsi incuriosito domanda alla sconosciuta di quelle creazioni, ricevendo risposte.
Si capisce che lei è una tipa creativa, che dà valore anche alle piccole cose (un po' ricorda il clochard, seppur molto differente, no?), poichè ammette di far pagare una 50ina la versione colorata dei cocci, perché per lei sono "Luci colorate che riflettono addosso" (altro riferimento al "calore"/"luce" del clochard prima).
Si torna ancora nell'ospedale della povera donna a cui Tsotsi ha sparato, ma stavolta è abbastanza ripresa e pure incazzata al di sopra del midollo osseo: non nasconde che se scopre di male fisico al figlio, avrebbe il forte desiderio di uccidere il rapitore da lei solamente.
La ragazza sveglia Tsotsi che si alza di soprassalto dalla poltrona, per dirgli che il bebè è sazio, e anche per chiederli di ripulire il bambino prima di andarsene via. Tsotsi accetta (non è che ci abbia dato grande dimostrazione di saperci fare con la pulizia degli infanti) e lei fa le moine tenere come se fosse suo figlio: il nostro protagonista così rimane a guardare, e fa un lungo viaggio mentale nei ricordi rimossi per traumi, dove si mostra la sua madre naturale, malata di aids, chiedere di avvicinarsi a lei, quando lui aveva nemmeno otto anni di età. Spunta suo padre, alcolizzato fino al midollo, sgridando Tsotsi perché si è avvicinato a lei. Lui si spaventa e scappa, la madre piange ma assicura il figlio che le cose andranno bene. Il cane abbaia e Tsotsi bambino si nasconde dietro delle gabbie. Il padre picchia così il cane forte, e si scopre che era il suo cane, quello a cui un uomo ruppe la schiena, come raccontato da Tsotsi stesso al clochard ore prima.

(Sono le 13:07 del 21 novembre, e poiché ho dovuto fare tantissime cose, oltre che per la mancanza di una connessione decente, ho rimandato e deciso di tagliare questo mio articolino personale fino a qui... Lo continuerò comunque, e spero che già adesso sia di vostro gradimento)

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