1 aprile 2018

Ah, la me che si ridesta con intorno il buio...

E' il primo di aprile, e da quel che ho visto ho davvero dei grossi problemi a far funzionare quel cazzo di trabiccolo moderno che è il computer con cui ho sempre lavorato.
Non son potuta nemmeno andare dalla mia amica, e nonostante la gioia insonne di stamani, non riesco a disegnare per vari motivi, e quindi decido di... Beh, cercare altri cartoni/fumetti del mio passato. Non è una novità (sono fan del personaggio di Lobo e di tanti altri, ma non lo dico spesso), ma se in questi anni l'ho fatto poco presente è perché per primo motivo, l'imbarazzo nel far sapere che mi piacciono certi fumetti, e secondo, perché non avevo proprio la disponibilità (non sempre almeno) per potermi vedere certe serie animate e testate senza che qualcuno lo venisse a sapere.
Insomma, ho voglia di ri-vedermi la serie famosa di Batman, quella animata s'intende, che vidi ormai quando ero bassa quanto una sedia (forse una seconda volta quando andavo alle elementari dopo i dieci anni, chissà), e che avevo rimosso del tutto. L'unica cosa che mi è tornata in mente e' stata vedere una scena dei gas paurosi di Crane, che mi ha acceso quella lampadina dei ricordi inconsci creduti perduti: la faccia sua che diventa un mostro dai denti aguzzi.
Sono molto timida, ma parecchio, e certe volte quando qualcuno mi vede interessata su qualcosa, io arrossisco e nascondo lo sguardo come quando ero bambina. Non è facile essere più "spavaldi" quando per tutta la tua vita ti hanno sempre ripreso in giro sulle cose che più ti piacevano, specie in gran modo gli argomenti cartone animato e fumetti, considerati roba "infantile": certo, pure sui miei gusti musicali e del vestiario avevano da ridire (metal "peso" e vestiti neri e coprenti non aiutavano certo a farmi fama positiva, ne' a scuola ne' in città... Dio quanto ho odiato la vita di città). In questi anni poi, che sto cercando di vergognarmi il meno possibile di me stessa (sempre comunque controllandomi per timore di andare quel troppo oltre), sto anche disegnando più come vorrei, stilisticamente parlando (ma per storie e battute ahimè quello ancora mi vergogno assai), e quindi un tuffo "soleggiato" nei ricordi infantili è plausibile. Purtroppo, assieme a quello, esiste anche la mia "parte oscura" (che comunque, detto in senso relativo, tutti abbiamo), ovvero la mia fissa quasi morbosa per tutto ciò che riguardasse la Morte. Probabilmente non so se avrò tempo e voglia di fare questo resoconto sulla serie (son tanti episodi accidenti, e la memoria è quel che è), quindi parlerò solo di questa cosa qui, che mi tengo ormai da anni dentro, e che pochissimi, davvero pochi, ne son a conoscenza. Che poi, conoscendo questa saga, ci son molte cose in comune tra essa e me, ma dettagli.
Io come già spiegai, son stata cresciuta in un istituto. Quei centri dove i bambini, senza una custodia ufficiale, venivano mantenuti finché una famiglia adottiva o affidataria non volesse loro con sé. Il mio centro stava a Milano, dove nonostante tutto respiravo aria pulita e intorno a me c'erano dei bei giardini: giardini dove io regolarmente ogni mattina, tiravo su le mattonelle di marmo (molto pesanti veramente tanto per una bambina mingherlina di 5-6 anni!) per "salvare" gli insetti che ritenevo io "prigionieri" delle "cattive" formiche. Ho sempre avuto interesse specialmente per i lombrichi (ne disegnavo anche sui fogli), e per le mosche. Purtroppo era vietato tenere animali, e così fui costretta ogni volta a nascondere il mio "bottino" in qualche manica o tasca. Questo funzionò finché un bambino spione mi vide qualcosa scappare dalla mano. Potete immaginare bene cosa accadde. Un caos e io rimasta malissimo per aver perso un porcellino di terra. Con quel bambino ci litigai molto, e una volta finimmo quasi per fare a botte in autobus. Lui mi strappò molti capelli e io promisi a me stessa che mi sarei vendicata quando meno se lo sarebbe aspettato. Non andò così, ma in camera sua entrai lo stesso: ero silenziosa e quasi nessuno, vista la mia altezza, riusciva a trovarmi subito. Quel bambino però non tornava più, e così mi misi a giocare coi suoi giochi. Indovinate un po'? Era la casa di Batman. Io non avevo niente del genere (solo cose pop come Pikachu) e quindi, amante come adesso delle casette in miniatura, ci giocai non so quanto tempo, per poi rimettere tutto a posto, senza lasciare tracce. Nessuno seppe infatti che c'ero stata, ma mi promisi anche che non ci avrei mai messo più piede. Forse la mia intenzione era quella di rifilargli insetti nel letto, ma quel giocattolo era così invitante che dimenticai la mia "missione". Non ero infatti una bimba "modello". Timida sì, ma parecchio ribelle, e a tratti, "macabra". Non lo dicevo io, lo dicevano i miei educatori. Anche qualche bambino lo disse, ma sentirlo da degli adulti era tutt'altra cosa. Un bambino non era chi mi accarezzava la testa ogni sera perché quasi nessuno mi abbracciava; un bambino non era uno che ti consolava di notte dopo ogni incubo dove c'erano boia che aspettavano di tagliarti la testa. I miei due compagni di stanza, due maschietti coetanei, mi sopportavano appena, immagino, perché da piccola ero un poco insonne. Però, anche se facevo incubi orribili, mi piacevano le cose inquietanti. Le sognavo, e facevo finta di essere pure io un mostriciattolo, per puro divertimento. Fu questo però, a farmi cascare del tutto il mio mondo allora sereno da parte degli adulti. Un giorno mi venne l'idea di nascondermi dietro l'armadio, nonostante qualche bambino mi avesse avvisato che qualche educatore si sarebbe arrabbiato. Io non ci detti peso (carattere testardo avevo) e mi nascosi perfettamente. Lei, l'educatrice Luisa venne ad aprire ed io uscii fuori urlando. Mi arrivò il primo schiaffo della mia vita, una sensazione che non avrei mai immaginato sentire a causa di chi mi manteneva in quel momento. Mi misero in punizione, anche se io ripetevo fino allo sfinimento che non volevo farlo apposta, che era solo uno scherzo e bla bla, ma loro mi chiusero in camera, al buio. Stranamente non ero terrorizzata, perché al buio ero quasi abituata, ero più in shock per lo schiaffo, perché per me quello non era altro che un simpatico scherzo innocente. Scema però non ero, e accettai la punizione. Non solo ero abituata all'oscurità, ma in mio aiuto venne la mia cara fantasia. Vennero i miei amici immaginari fantasmi (una famiglia numerosa), che parlarono con me, finché non chiusi gli occhi e mi addormentai. Continuarono ad usare questa sorta di punizione, ma io avevo i miei trucchi, e avrei continuato ad usarli per non stare male a causa di sciocchezze come queste qua (si trattava di una marachella in fondo). Così, dopo questo trauma inaspettato, cominciai a chiudermi sempre di più, giocando poco con gli altri coetanei, e stando sempre più per i fatti miei, a giocare con gli insetti o con gli uccelli. Di notte invece, o non dormivo o avevo frequenti incubi. Fu però anche il fatto dei miei compagni di stanza che lentamente si stavano facendo adottare, che alimentò ancora di più il mio isolamento. Mi domandavo perché non potevo sapere la loro destinazione, o se mi avrebbero rivisto, ma ancora oggi, come giustamente sia, non ne ho mai saputo più nulla. Come se non fossero esistiti, spariti nel nulla. Cominciai a pensare che dovevo aspettarmi qualsiasi abbandono, e se nello stesso tempo mi isolavo, nello stesso tempo con alcuni volevo che rimanessero a giocare il più possibile, per paura che se ne sarebbero andati via pure loro da me. Cosa rara comunque, perché avevo pochissimi amici a causa dei miei interessi "cupi", quindi ancora di più ero combattuta fra l'essere più accomodante, e l'essere più distaccata: non ci capivo più nulla ormai, e questa cosa sarebbe continuata ad accadere anche negli anni dopo, dopo il trasferimento nella vita di città. Certo, ero in una città anche io, ma lontano, e spesso nelle gite, se non si andava a Rimini, si albergava in montagna, posto che amavo più degli altri. Scappavo sui tetti, o cercavo di infilarmi dentro qualche imboccatura di legno marcio, per scoprire insetti o roba "antica". Facevo dannare, e di notte, volevo sempre uscire per far compagnia alla luna. Volevo anche andare in giro per i boschi da sola, ma questo non me lo avrebbero mai permesso: però qualche scappatella riuscivo a concedermela, ed io sola e soltanto, immaginandomi chissà quali personaggi farmi compagnia. Avevo una fantasia fervida, e loro lo sapevano già, come sapevano anche del mio interesse riguardo il tema della Morte. Nei miei disegni ricordo un personaggio molto frequente: un t-rex pallido dagli occhi rossi di nome appunto, "Morte". Dicevo loro che era buono e che mi avrebbe protetto sempre, ma questa cosa a loro inquietava, assieme ad altre, del mio "bizzarro" comportamento. Dicevano che avevo una forte intelligenza, ma che ero troppo morbosa e troppo fantasiosa, che non sapevo "distinguere la fantasia dalla realtà" (questo non credo proprio, mi scusavo ogni volta dicendo "No, signore, è uno scherzo, stavo scherzando, è per ridere). Volevano insomma costringermi a fare più amicizie e meno pensieri di quel genere. A loro, che dicessi che le madri delle mie immaginarie farfalle fossero morte, o che dei pupazzi parlassero con me: era segno che qualcosa non andava. Certo, tutti abbiamo i nostri problemi, ma che volevano pretendere da me, che al tempo non avevo mai avuto una vera famiglia? Ero ribelle perché non avevo avuto educazione, ci sta, ma non c'era da biasimarmi così tanto. Soffrivo molto a causa di questa cosa, e mi facevano paura tutti quei cambi di posto e di gente intorno a me. Volevo stabilità, l'essere più libera, ed i miei timori erano più che normali. Oltre a questi, aggiungo il fatto di vestirmi e trattarmi come un maschio, e di dire che ero "minuta con grandi occhi neri": ma in un altro foglio che lessi, "con grandi inquietanti occhi neri". Nessuno mi disse, ne lessi, che ero considerata una bambina di bell'aspetto.
Questo rimase anche negli anni dopo: sapendo di non essere chissà quale bellezza, preferivo essere più di questo, a tal punto che se qualcuno avesse detto che fossi carina, non ci avrei creduto (ed un po' neanche adesso ci credo, ma spesso è per imbarazzo e timore dei contatti). Era diventata la mia corazza, ormai, e invece di fare stupide vendette avrei fatto finta di stare al loro gioco, alle loro punizioni. Ero furba, e finché facevo credere loro di essere "passiva" avrebbero abbassato i loro controlli su di me. Ovviamente erano più assidui, ma io cercavo di tenere duro. Cambiò tutto quando mi trasferii, e lì non fu facile affatto capire come avrei dovuto comportarmi per stare meglio, tornare a quelle cose meravigliose e cupe che tanto mi affascinavano, rimanendo nella mia fervida fantasia.
Quando mi trasferii, affidata alla famiglia da parte di mia madre, a mia zia, credetti che sarei tornata ancora su quei monti, ma così non fu. I miei amici immaginari mi tennero compagnia, e portai con me tutti i pupazzi e disegni che feci. Sentivo già la mancanza della vita che stava andando via dietro di me, tutti i ricordi, e non volevo che ciò accadesse in modo peggiore: cominciai così ad immagazzinare ricordi su ricordi, anche i sogni. Se non riuscivo a trascriverli, per timidezza o poca volontà, sarebbero questi rimasti nella mia testa, o raccontati a qualcuno di speciale, qualcuno che magari condivideva i miei stessi gusti, o che avesse una fervida immaginazione. Pochi ne trovai, e neanche con loro durò molto. La mia unica amica delle elementari, con nome simile al mio, sparì su volere di mia zia dopo la prima media. Seppi che c'era dietro il timore che suo padre (pedofilo presunto) arrivasse a me. Ma ci rimasi male lo stesso, perché per me lei era l'unica persona che poteva capirmi, anche se più "allegra" di quanto lo fossi io. Di nuovo caddi in tristezza, dormivo poco ancora, ma fu peggiore il mio inserimento nella nuova vita. Ero timida, e molti ragazzini o mi stavano lontano, o mi prendevano in giro. Certo, anche da piccola qualcuno mi prendeva di mira, ma stavolta erano più numerosi e facevano molto, ma molto più male. Dicevano che ero "matta", non una che stava con la testa a posto, che facevo loro paura, che sembravo una morta o qualcosa del genere, perché stavo sempre in penombra in classe, e non parlavo quasi mai con nessuno, da quando mi abbandonò Alessandra. Per ricordarmi di lei, presi curiosità di tante cose che mi disse che le piacevano, e che sarebbero piaciute anche a me. Poi feci amicizia, più per tentativo mio di "farmi avanti" che da parte loro, con numerose compagnie, che durarono tutte poco. Ci furono così altri periodi di isolamento, dove per non stare in casa con la mia amata musica metal, andavo a zonzo per le strade, senza una meta precisa, persa nei miei pensieri, rimuginando ancora ed ancora sui ricordi che non volevo perdere.
Stavo diventando però più insonne per altri motivi ancora. Uno, il più terribile di tutti, era causato dall'abuso di mio zio su di me che iniziava ogni notte, ed un altro, che per me ormai solo la notte era il mio tempo, il mio unico momento di pace, poiché di giorno era il vero inferno. Amavo la notte, ed ora l'avrei amata molto di più, volevo essere anche pallida come la luna piena, e nera come il buio. (Eh sì, non son certo così per fare la goticona, è sempre stata mia intenzione avere il pallore già dai cinque anni, e dei goth/metallari non ne sapevo niente)
Così fu e così è ancora oggi. Sono nottambula e questa è sempre stata la mia natura. E' buffo aver scoperto dopo il collegamento tra l'elemento della notte/luna col mio animale alter-ego, il cerbiatto. Sempre ricordando la mia infanzia a Milano, dopo l'incontro con qualcuno di questi esemplari o caprioli, la mia educatrice disse che avevo gli occhi come loro, così decisi che sarebbe stato il mio  animale come metafora della mia persona (un po' come quando mi dissero che avrei dovuto fare la pittrice per il mio talento nel disegno). Sempre sul cervo, sulla notte e sulla Morte, ebbi un incubo molto forte, che ancora ricordo molto bene. Ero in metropolitana, da sola, e davanti a me, vicino ai binari, mi aspettava proprio la Cupa Mietitrice. Non voleva farmi del male, solo che mi avvicinassi a lei per osservare qualcosa, che arrivò subito. Un treno super veloce, e un urlo agghiacciante di qualche essere umano, sovrapposto alla mia fugace visione di una testa mozzata terrorizzata vicino ad una testa impagliata di cervo adulto maschio. Questo sogno ancora mi porta pensieri e domande, e lo considero come una specie di visione ormai. Non voglio che crediate o no a quel che penso, ma per me questo sogno è sempre stato e sempre sarà importante. Mi ha ispirato, e certe volte anche aiutato. Ricordando sempre di mio zio che mi abusò, è ironico che poco tempo dopo l'avermi fatto male, morì di gravi malattie causato da se' stesso. Questo stesso sogno assieme ad altri propositi di vita, mi aiutò a non suicidarmi per davvero quando a scuola mi sembrava tutto andare a cadere nell'abisso, come in frequenti sogni allora, dove cadevo chissà dove, o vedevo sangue e squartamenti. Il mio interesse nel morboso ha fatto sì che mi interessassi alla cronaca nera, ai problemi mentali e cose simili, purché non rischiassi di incapparci pure io. Non ho mai fatto male a nessuno, ma quando stavo malissimo, in quegli anni, specialmente per paura che mio zio tornasse a farmi male una volta rimesso, mi interessai sempre più alle armi, ed al coraggio per farmi giustizia da sola (anche da piccola mi piacevano un sacco le lame e i forconi, ma lo facevo più per "scherzare"). Pensavo così di vendicarmi, ma nello stesso tempo piangevo perché avrei peggiorato anche le cose, o che non ce l'avrei mai fatta perché "cattiva" non ero, almeno non fino a uccidere qualcuno. Forse ora a leggere queste cose vi sembra una roba folle, ma rendetevi conto che ero minorenne, nemmeno 15 anni, e mio zio mi faceva cose contro la mia volontà, tirandomi ogni volta via dal letto, per spogliarmi e legarmi (e picchiarmi con la cintura se fiatavo), e oltre a questo, ero non poco frequentemente picchiata dagli altri (più di due schiaffi anche per scemenze) o offesa con termini gradevoli come "Down" o "Una che deve essere picchiata come i muli" o "Una che non sa fare una o col culo" (cioè una che non sa fare un cazzo nella sua vita). A casa, così, a scuola, bulletti che mi tiravano addosso gomme o mi facevano cose umilianti alle mie cose o addosso a me (come tentare di toccarmi le mutande di mia zia prese perché eravamo in periodo nero e mia sorella, allargando le mie stesse mutande, me le aveva ormai rovinate). Io non ce la facevo più. La vita spensierata di una volta, quelle colline, quei monti di neve ormai offuscati dalle memorie del tempo andato, mi mancavano terribilmente, così come mi mancava tornare ai miei piaceri considerati "morbosi" o "esagerati" come far finta di vedere una persona davanti a me sul bus (quando lo raccontai mi rivelarono che la supplente si terrorizzò così tanto che disse che dovevo essere curata per questo: mi cascò di nuovo il mondo addosso). Combattuta fra questi stress, il trauma subito, la paura di venir ripresa delle poche cose che mi davano gioia, ed il voler qualche amico che mi trattasse come un fratello/sorella (con la mia biologica era più botte e botte tutti i giorni, ci tiravamo anche i bastoni di ferro), volevo farla finita. Non di certo mi tagliavo, ma pensavo piuttosto di cadere dalle scale, come un pupazzo senza vita, cosa che ero effettivamente: non dormivo molto, e litigavo spesso con tutti, ero confusa tra stanchezza e bassa autostima, rotture di rapporti e affetti, e nulla mi era più stabile ormai. Non credevo nemmeno che avrei trovato un qualche amore, o amicizia vera che desideravo più di ogni cosa. Non accadde mai che arrivai a quel tragico punto, ma perché ho sempre creduto in una strana speranza, non volevo abbandonare tutte le mie gioie, i miei ricordi: questo grazie al pensiero della Morte stessa, che mi faceva pensare che avrei dovuto tenere duro, anche a costo di sembrare io stessa un morto. (in un mio sogno una volta ero davanti ad uno specchio, ed avevo un aspetto affamato e orbite vuote)
Poi verso i 17 anni cambiò tutto ancora. Ero sempre triste sì, causa di ricordi incancellabili, ma cominciavo ad uscire e conobbi, seppur sempre di passaggio, gente che mi criticava meno. Poi vennero le rotture sentimentali, e continue fughe, solo per vedere se ancora quella parte di me che arrischiava era ancora viva.
Ancora adesso però, la Morte mi accompagna, e la vedo in ogni cosa, in ogni mio pensiero, così come nei sogni, o nei racconti, o nelle cose che più mi piacciono. Cerco ad ogni modo di fare del mio meglio per andare avanti, per stare meglio con me stessa anche se facile non è, ma quella che feci da piccola è come una promessa mortale: slegarla non si può, altrimenti pure il mio stesso animale, sognato assieme, si allontanerebbe da me, finendo per non ispirarmi più.
Ho detto anche troppo, ma voglio dire di più, perché penso che la gente si debba dare una svegliata e capire che noi "sfigati" non siamo poi così diversi da loro e da altri. Questa stessa Morte e il mio Cervo mi dicono che se sono ancora in vita è per portare certi messaggi, che siano alla mia prole o no. Mi parlano, sono come muse o demoni, chiamateli come vi pare, ma mi accompagnano da una vita, sono loro in me, fanno parte di me, e lo saranno finché avrò spoglie vive su questa Terra.

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