30 luglio 2017

DRAW MY LIFE_Parte Infanzia_Milano_Anni 1994-2001

Non ho idea del perché non ci abbia pensato prima, ma ho deciso che finchè ancora disegnerò quel fumetto sulla mia vita che inizia settimane svariate fa (Draw my life, una specie di "sfida" tra disegnatori in cui si illustrano le proprie esistenze sulla Terra o quel che se ne ricorda), ne posterò le parti già pubblicate, aggiungendoci moltissimi altri dettagli, poichè le vignette rappresentative sono brevi e contate. Lo faccio anche per avere un aiuto in più, per rendermi le cose più facili se dovessi disegnare altre scene del mio passato.
Nacqui il 22 gennaio dell'anno 1994, non so a quale orario, in un ospedale di Cecina (provincia livornese). Lo stesso anno in cui Marilyn Manson pubblicò il suo primo famoso album, lo stesso anno anno in cui i KoRn diedero inizio al genere musicale NuMetal, lo stesso anno in cui uscirono al cinema Il Re Leone, Intervista col Vampiro, Le ali della libertà, Forrest Gump, Il Corvo, The Mask, Miracolo nella 34esima strada, Ace Ventura e Pollicina di Don Bluth. L'anno anche in cui in Italia fu fatto un trapianto di cuore da un povero sfortunato bambino americano che passava di lì con la famiglia. (leggi la cronaca di Nicholas Green) I miei genitori, da quel che so, non erano nemmeno sposati, e mio padre non aveva nessuna intenzione di avere figli, ma mia madre (so che queste son cose non belle a dirsi ma è accaduto così e altrimenti dovrei "oscurare" questa parte) era testarda e mi fece nascere lo stesso, per poi scappare da mio padre e andare a cercare aiuti vari per farmi crescere. (questo è quel che so da mio padre e vari parenti) Non so come andò dopo, ma a cinque anni mi trovavo in un istituto per bambini senza famiglia, perchè a lei e a lui avevano levato il diritto di essere miei genitori, anche se vagamente ricordo che le prime volte lei veniva a trovarmi in un salotto per regalarmi quei pennarelli che tanto andavano di moda, che se ci soffiavi sopra usciva una polverina colorata -a mo' di aerografo-, ma che poi io usavo solo come pennarelli classici per disegnare. Ho solo una foto di quando ero neonata, ed è una bellissima foto dove io, con in testa solo una fascia rosa con una farfalla dello stesso colore a decorarla, osservo e tiro un ciuffo di capelli della mia cugina, che nella foto era una ragazzina, con mia madre sfocatissima dietro e lontana da noi due. Ora che ci penso sembrava quasi un segnale del futuro, visto che sarei stata poi affidata alla famiglia della mia zia materna, di cui faceva parte questa mia cugina (che non nascondo che detesto).


Il periodo della mia vita più felice fu quello della mia infanzia nonostante tutto, nessuno mi insultava e nessuno mi alzava le mani, perché stavo con dei tutori e tanti bambini mi rispettavano. Ero una bambina abbastanza curiosa ma facevo anche perdere la pazienza a chi mi stava dietro. Infatti solo una volta uno dei tutori mi alzò una mano addosso, e accadde perché io mi nascosi dietro il mio armadio: volevo spaventare la mia tutrice preferita, Luisa, ma nonostante gli altri bambini mi avvertissero della possibile sfuriata di lei, io feci di testa mia e quando lei aprì l'armadio, io saltai fuori urlando. Ricevetti uno schiaffo per la prima volta e per lo shock e la frustrazione di non aver fatto nulla di male (lei si arrabbiò perché secondo lei avevo schiacciato i miei vestiti dentro), calmai un poco il mio carattere. Ciò mi portò ad avere ancora più paura della gente perché non capivo mai come comportarmi con loro per evitare altre manifestazioni violente su di me, e finii per chiudermi ancora più in me stessa, già che ero timida di mio. Ma nonostante questo, per il resto stavo alla grande, giocavo con gli insetti (la mattina mi alzavo sempre per alzare le mattonelle pesanti per "salvare" questi dalle "cattive" formiche), catturavo cavallette (con un barattolo di vetro, le sapevo acchiappare anche a mani nude). scalavo massi (una volta Luisa si spaventò così tanto vedendomi su una collina rocciosa alta), mi scavavo fosse di sabbia per starci dentro con la testa fuori (come in alcuni film che vedevo al tempo), mi arrampicavo su alberi grandi fino in cima, pattinavo coi roller per ore ed ore in totale solitudine (potevo farlo solo intorno all'istituto, ma meglio di niente...) e saltavo sui divani dopo averli messi assieme in fila indiana (perché se saltavo sul mio letto facevo imbestialire i tutori). Per quanto riguarda i bulli, quelli ci litigavo abbastanza, uno di loro arrivò anche a strapparmi alcuni capelli in bus, ed un altro gruppo mi prese di mira quando al mare di Rimini, ero sopra il mio materassino a forma di pupazzo di orca, minacciandomi di bucarmela. Piangevo tanto a questi episodi non capendo i loro atteggiamenti verso di me. Il primo bulletto poi era anche colpevole di aver fatto la spia su di me in uno dei miei tentativi di portarmi qualche animaletto in stanza. Avessi conosciuto le care bestemmie, le avrei urlate tante a tutto l'istituto intero.

Della mia infanzia ricordo sopratutto i miei sogni, perlopiù incubi, perché se ero felice fuori, nel mondo dei sogni era un fottuto terrore. Non tutti i ragazzi ed i bambini lì erano miei amici, e non mi consideravano molto, per cui appena andarono via i miei compagni di stanza, mi sentii molto più sola di quel che ero già. Pensavo inoltre che non avrei mai scoperto il mondo, perché credevo che sarei rimasta lì per sempre. che loro fossero la mia vera famiglia, e soffrivo un po' anche per le regole riguardo le uscite fuori. Divenni insonne per gli incubi ed anche perché volevo uscire la notte, l'unico momento del giorno in cui nessuno mi rompeva le scatole, ed ero affascinata dalla luna, che fissavo dal mio letto per ore, immaginando di poterla toccare con la mano, o che mi parlasse. Ero molto fantasiosa e molti dei miei taccuini che portavo in viaggio dimostrano in pieno questa mia immaginazione fervida: immaginavo che il buco/macchia della mia tenda fosse l'occhio di un T-rex che mi proteggeva e fissava la notte, che un'amazzone mi seguisse in corsa davanti al bus mentre viaggiavamo, che due cani di media taglia mi infastidissero mentre camminavo cagandomi vicino ai piedi (lo so è strano), che una famiglia allargata di fantasmini mi venisse a far visita prima di andare a dormire, che una tarantola gigante di legno fosse il mio animaletto domestico (la costruii davvero questa cosa, con tanto di guinzaglio per portarmela al giro come un cagnolino). Ma immaginavo anche cose terribili e spaventose, come una strega che mi aspettava dentro un capanno, un lupo gigante pronto a divorarmi nel bosco (erano anche presenti spesso nei miei sogni, ma in questi riuscivo sempre a salvarmi o a combatterle): il mio incubo più terrificante ed angoscioso era però un altro. Non conoscendo molto il mio corpo (pensavo che i maschi avessero la vulva/vagina come me), andavo a dormire con il cuscino sopra le mie braccia (non riuscivo mai a dormire insomma, il cuscino si scaldava troppo e io per ore giravo il cuscino nella parte fresca, facendo lamentare i miei compagni di stanza che invece volevano silenzio...). Sentivo così un battito regolare pulsante di cui non capivo l'origine, e pensavo che fosse un boia che camminava con fatica verso di me per tagliarmi la testa. In realtà, come scoprii molti anni dopo, il tonfo che sentivo non era altro che il pulsare delle mie vene/arterie del mio orecchio/braccio, poichè ebbi una feroce malattia proprio in questo punto; ma al tempo non ne sapevo niente, quindi fantasticavo così.

Guardavo anche filmati didattici su dinosauri, documentari sui dinosauri, lasciavo in giro, anche nei miei viaggi, alcuni piccolissimi dinosauri in plastica che portavo in un sacchetto: insomma, la mia fissa erano loro, così come erano protagonisti di moltissimi miei sogni, anche in anni successivi, come semplice metafora delle mie paure. Mi regalarono un cicciobello ma io non ci giocavo mai, ne ebbi Barbie (le detestavo), mi regalarono anche tanti Pikachu (amavo i Pokèmon) e due farfalle peluche (da piccola creai un personaggio così di nome Faiti dalla storia drammatica). Quando però a scuola era ricreazione, io di nascosto rubavo quei finti gioielli di lego perché mi affascinavano i minerali, ma mi scoprirono subito quindi smisi. Così simile fu infatti il mio primo ricordo dei miei primi anni di vita: dopo aver rubato dei cioccolatini a forma di ovetti, mi nascosi in una culla per bambolotti, mangiandomeli poi in tutto quel tempo che ci misero per trovarmi (non a caso mi chiamavano "gnoma"), per poi scoprirmi e incolparmi del mio "dispetto" verso le maestre. Avevo cinque anni ed ero molto golosa e furba. Comunque sia mi lasciavano abbastanza libera, e gran parte del mio tempo lo sfruttavo anche per guardarmi tantissimi film, che amavo un sacco. Anche se mi terrorizzavano. Mi terrorizzava il cattivo di Ghostbuster 2, quando fissava ed usciva dal quadro, mi terrorizzava il bambino protagonista Alan di Jumanji quando si scioglieva all'improvviso davanti alla ragazzina, mi terrorizzava la scena dei due t-rex che pasteggiavano col tizio nel wc, così come il traditore che veniva massacrato all'interno dell'auto, da cui sarebbe sgorgato del sangue verso il fiumiciattolo accanto sotto la pioggia... Mi spaventavano ma mi piaceva riguardarli ancora una volta.
Avevo in effetti un certo gusto del macabro, e disegnai anche un T-rex pallido di nome Morte, dopo il mio sogno con Pocahontas (sì quella della Disney, fu uno dei miei primi sogni) come creatura martoriata dall'uomo che si voleva vendicare, dagli occhi rossi. Forse in realtà è stata questa mia passione per le cose inquietanti ad avermi fatto allontanare da molti dei miei coetanei... Comunque non era niente in confronto a cosa avrei trovato anni dopo dopo il mio trasferimento: fui felice perché avrei visitato altri posti nuovi, ma credevo che sarei poi tornata ogni tanto anche all'istituto (cosa che non accadde mai più): conobbi mia zia, sorella di mia madre (lei mi regalava i Pikachu), e mi portai dietro alcune cose, ma non tutte. Infatti i miei disegni attaccati al muro rimasero lì, ma ebbi il mio album fotografico fatto dai tutori con le mie foto delle mie giornate laggiù (che ho ancora adesso, non tanto integro ma capite che ha 16 anni ormai), alcuni miei pupazzi e quadernini.
I miei viaggi preferiti erano quelli in cui si stava sulle montagne (non c'erano bulli e mi piaceva da matti l'atmosfera, ed era più facile stare di notte fuori). Ho bellissimi ricordi di quei periodi sui monti. Quando c'era la neve sciavo con lo slittino e facevo "l'angelo" un sacco di volte. Mi divertivo tantissimo e ricordo con divertimento un fatto accadutomi con uno dei tutori. Mentre altri sciavano, io e lui finimmo con la slitta dentro un rialzo tra una casa e la neve alta: non ci facemmo molto male ma in quella caduta provai tantissima adrenalina. Una sensazione simile ma più pericolosa la ebbi invece quando ero in spiaggi a Rimini. Venne una forte onda, talmente forte che riuscì a farmi girare su me stessa dentro l'acqua. Mi spaventai molto credendo di morire, ma fortunatamente mi trovai a riva e venni soccorsa. Un motivo dei tanti per cui cominciai a detestare il mare. Cambiai anche varie scuole materne/elementari, ed ad una di queste classi un giorno andai con indosso il mio copricapo da gatto che mi regalarono un dicembre/pasqua tempo fa. Amavo mascherarmi ed anche in quel giorno della gita sui monti chiesi di indossare il costume da coccinella che aveva uno dei tutori (ho pure la foto) prima di andare a dormire (cosa che non feci perché dopo ore di nascosto mi alzai per sentire sulla scala al buio cosa si dicessero). Avevo come tutti i bambini i miei rituali: oltre che saltellare alcune mattonelle come una schiacchiera, prima di andare a letto chiedevo sempre un po' di carezze contate sulla testa, perché non ero mai tranquilla prima di dormire. Una di quelle volte, mi svegliai (forse quando ero sempre in quella casetta di legno graziosa) e non vedendo più Luisa, mi misi a piangere in modo da non farmi sentire. Soffrivo così di leggera insonnia, e ricordo che mi davano anche delle pillole trasparenti per farmi rilassare: uno dei tutori mi trovò sveglia nel corridoio con il mio pupazzo grosso al petto, e chiedendomi come mai fossi sveglia a quell'ora, mi mostrò quella pillola, che ingoiai con disgusto perché mi facevano venire un forte mal di testa per il saporaccio (tipo nausea). Una volta accadde anche che mi svegliai nel cuore della notte (non c'erano più i miei compagni di stanza), perché ero completamente al buio e avanzando senza luce cercavo di capire come scendere dal letto, ma qualsiasi parte che toccavo era dura e fredda, e cominciai ad urlare e piangere credendo di essere stata murata viva. Luisa venne, accese la luce e mi trovò terrorizzata che toccavo il muro.

18 luglio 2017

FUMETTI DIMENTICATI_2_Pazyzy E Procho

E' periodo di cambiamenti, anche se nello stesso tempo tutto sembra fermo e troppo tranquillo. Nello sistemare le mie vecchie cose superstiti dalla mia vecchia casa, scorgo dei fogli non troppo sciupati dal tempo, con disegnate sopra alcune mie vecchie vignette a penna (sembra un secolo passato, da quando le usavo e non conoscevo le staedtler mie adorate) con protagonisti "furry" (per chi non lo sa, sono animali umanizzati/antropomorfi) che sì, nemmeno loro avevo dimenticato. Infatti non avrebbe molto senso intitolare questa mia bacheca così, ma piuttosto definirla come "Saga che ricordo nella mia memoria vagamente ma che ho ancora come cartacea solo pochi sprazzi". Trattasi della serie non nata "a caso", ma ripresa da una precedente che non sviluppai molto (fortunatemente), da cui infatti, caratterizzai solo due personaggi maschili: Pazyzy e Procho.
Pazyzy e Procho nacquero come personaggi principali ma abozzati, per poi essere più presenti (sempre abozzati) in minuscole vignette (poche) che scharabocchiavo in uno dei miei tantissimi diari segreti. 
 
(Alcune vignette delle primissime con lui protagonista, anche se apparivano altri personaggi, come qui Super Pesce, un altro personaggio abbandonato)

Pazyzy e Procho sono tra i personaggi che nel corso del tempo non cambiarono di una virgola, i loro caratteri e design sarebbero rimasti sempre gli stessi, ma avrebbero preso sempre più la parte di protagonisti, perché... Mi rappresentavano molto, in fondo.
Pazyzy (nome inventato dal niente, ispirandomi dal termine "Pazzo") è un cucciolo di chihuahua dal pelo lungo meticcio (misto a coyote e lupo: non riuscii mai a decidere un animale singolo per lui), che viene adottato da questa famiglia di procioni benestanti, di cui parente è il giovane coetaneo Procho (da "Procione", ho voluto fare un gioco di parole con la lingua messicana). La famiglia è composta oltre che da lui, dalla sorellina Prochetta, dalla sorella più grande Prochette, da padre Prochone e madre Prochona (ridete pure): forse anche qualcun altro, ma non avendo i fumetti presenti, non ricordo altro. Pazyzy invece, non ha nessun genitore, o almeno, nemmeno nella storia che scrissi più avanti, non si vede il volto della madre, per cui rimane un mistero. Tutti i personaggi hanno enormi occhi neri dalle pupille colorate di un singolo colore, tranne per Pazyzy che è eterocromatico (giallo e verde luminoso). Pazyzy è un ragazzino molto curioso, pigro, fantasioso, caratteristiche che condivide con il "fratello" Procho, anche se quest'ultimo, sembra più controllato nella sua vivacità, forse per crearsi una maschera dall'evidente imbarazzo che crea Pazyzy verso esso. Procho invece è dormiglione e non nasconde di avere un discreto interesse per le creature di sesso femminile (Pazyzy ne ha interesse in misura minima). Entrambi si prenderanno in giro l'un con l'altro per questi caratteri così differenti, e su questo si basa questa mia serie di fumetti, ma nonostante questa "lotta" tra fratelli adottivi, si capisce che in realtà i due tra loro, provano immenso affetto (non confondetevi con l'amore omossessuale, qui si tratta di puro affetto fraterno non-sanguineo). Detestano la scuola, soprattutto Pazyzy, ma è spesso il primo a causare "caos" anche se in senso positivo, perché come classico è, i compagni vengono sempre presi di mira da bulli e adulti non molto simpatici, tipo la loro maestra Civetta, un po' stereotipo (ma che nella realtà questo tipo di persona ahimè esiste) della maestra severa, bigotta e fredda. Pazyzy però a parte il timore verso questa maestra, è un ragazzino coraggioso e avventuroso, che segretamente (eh, nelle mie storie c'è sempre la parte un po' "drammatica") soffre per non conoscere e non aver conosciuto la propria madre naturale: i genitori addottivi infatti nelle loro vite di tutti i giorni, capiscono che l'esuberanza ed il proprio "astio" verso l'umiltà e il rispetto delle regole da parte di Pazyzy viene proprio da questa mancanza, e continuano a fare ricerche per trovare la vera madre del protagonista. Per dire, Pazyzy non è "cattivo", vuole solo risposte. Un esempio infatti, per far capire a chi leggeva le mie storie su questi due, e per pace mia mentale e di Pazyzy stesso, è la storia dove lui conoscerà una delle tante "idole" di Procho, tale Prociona Nera (una prociona di vent'anni, meticcia di lupo americano grigio, bellissima e aspirante modella dai lunghi capelli neri e orecchie lunghe decorate con grossi pendanti a goccia neri), e che salverà assieme al "fratello" durante un rapimento (sì, i rapimenti di donne per la prostituzione) da uomini loschi: purtroppo non ricordo nemmeno se finii questa storia, e non l'ho nemmeno ritrovata, quindi tutto rimarrà ancora nella mia memoria. 
E qui penso di aver detto tutto, e comincio a postare queste vignette, per il momento, le uniche disponibili che ancora posseggo materialmente, datate pare, i primi giorni di maggio 2010.
Comincia così, con i due che come al solito poca voglia hanno di eseguire i compiti scolastici, per poter essere presenti ad una partita (forse baseball o football americano) della loro amata squadra "Birds Racket" (razza di volatile che amavo moltissimo da bambina, in italiano sarebbe il famoso Drongo del Paradiso, un uccello dal colore blu scuro intenso e dalla coda lunga divisa in due parti: dimostrazione che mi piaceva molto questo animale è anche un mio vecchio disegno di quando avevo 5-6 anni, con rappresentato appunto questo uccello caratteristico asiatico, evidentemente da bambina ero appassionata di volatili...)
Anche questo topolino di nome Squiddy, accompagnato dall'amico uccellino azzurro (i due hanno quasi gli stessi colori) Cippy, erano personaggi principali della serie, anche quella precedente. Stavano sempre assieme come due fratellini (senza alcuna relazione sentimentale tra loro), e Tarta è una tartarughina dai capelli rossi a caschetto della loro classe, per cui Squiddy è cotto.

Procho è anche un tipo super ansioso, e facile alle maniere pesanti, mentre Pazyzy, che qui ammette che Squiddy non aveva nessuna colpa, si becca la rabbia omicida del "fratellino" Procho.
La madre di Procho, che nomina un altro parente della famiglia, e la sorellina. Presente anche la loro maestra, grottescamente (forse) immaginata dai due come fantasia inquietante per il senso di colpa che hanno verso i loro doveri di scolaretti "modello", come invece spera la madre che siano loro.
I due qui dormono in un letto di sola paglia, ed assieme. Forse stavano in campagna. Comunque sia qui è dimostrato come Pazyzy sia rimasto un po' il solito sognatore. 
Ho scritto il solito perché, queste vognette sono tra le più recenti che io abbia. Lo dimostra l'entrata di questo personaggio  di nome Paza, che non era mai stata creata prima. Anche qui, Pazyzy è sempre nel suo magico mondo di fantasia, per sfogarsi sulla maestra che tanto poco sopporta.

 
E qui finisce questa raccolta di ultime vignette, dove viene non poco velatamente rivelato le possibili origini di Pazyzy (Paza è una cagnolina chihuahua dal pelo lungo)... 

Ironie della vita musicali traumatiche con Blahzay Roze: che fine hai fatto? In caso di storie di abusi sulle donne…

Non son riuscita a dormire, ma ormai il sonno mi è passato del tutto. Parlando finalmente con la mia amica fumettista dopo tantissimo temp...